La Maggioranza sono gli Altri

Il 25 giugno ci sarà il verdetto definitivo. Lì sapremo chi avrà vinto il ballottaggio per la carica di

Sindaco di Genova.
Una cosa però è certa fin da adesso: la Maggioranza sono gli Altri. Quelli che si
sono astenuti dall'andare al voto al primo turno.

Difatti a Genova si è registrato il dato massimo nazionale di astensione, con il 50,87%. In nessuna altra parte d'Italia si è raggiunto un livello simile. Da qui il principio fondamentale: a Genova, la Maggioranza sono gli Altri.

A questo punto a poco valgono le argomentazioni di coloro i quali considerano gli astenuti come perdenti o passivamente accettanti il verdetto delle elezioni. In un sistema a tradizione universalistica come quello italiano, cioè dove il voto è tanto più valido quanto più è partecipato, gli astenuti possono essere considerati come perdenti solo quando sono una residua minoranza. Al massimo quando sono una minoranza assai relativa. Non di certo quando sono la maggioranza assoluta.

Del resto è lo stesso sistema elettorale che stabilisce il “quorum” nel 50% più 1 degli elettori.

Naturalmente essendo in Italia, paese dai mille risvolti e dalle mille interpretazioni, questo principio del

“quorum” è ritenuto applicabile solo per le elezioni nei Comuni aventi una sola lista di candidati. Dove il

quorum è addirittura doppio. Oltre a vedere la partecipazione di oltre il 50% dei votanti, l'aspirante sindaco deve prendere più del 50% dei voti.
Paradossalmente un candidato di lista unica che facesse il
pieno di quel 50% di elettori recatosi ai seggi, non sarebbe eletto. Lo sarebbe invece quel sindaco che prendesse il 5% dei voti calcolato sulla esigua minoranza degli aventi diritto al voto, purché in presenza di più liste.*

Di per sé un ben strano principio democratico, perché subordina l'esercizio del diritto di voto e di scelta politica dei cittadini alla effettiva capacità dei partiti di rappresentarli. I quali partiti invece, naturalmente nell'interesse esclusivo del cittadino, molto democraticamente fanno il pienone dei posti disponibili nelle assemblee anche quando il loro consenso complessivo è minoritario rispetto al totale degli elettori.

In tale curioso contrasto sarebbe davvero il caso che il sistema politico-partitico avesse la cortesia di adeguare la norma sulla rappresentanza assembleare al principio universalistico al quale sovente dice di richiamarsi.

È eletto Sindaco il candidato vincente secondo le modalità previste da ogni singolo caso ma il Consiglio comunale assegna percentualmente tanti seggi quanti sono i votanti.
Metà votanti,
metà consiglieri comunali.

E se, come a Genova, i votanti sono meno della metà?
Il Sindaco è politicamente delegittimato.
Comunque, a salvarlo, non basta un elenco di concorrenti
sconfitti più di lui.
Del resto una Giunta come potrebbe varare iniziative sociali-economiche-fiscali se
rappresenta la minoranza della popolazione mentre la Maggioranza sono gli Altri?

Dice: e allora?

Allora niente. In un paese come l'Italia dove la democrazia è un argomento dalla mille declinazioni,

naturalmente tutte a favore del soggetto in quel momento sottoscrittore, anche la discussione sul tema

della democrazia partecipata resterà in soffitta.

Per adesso. Perché a questo punto le possibilità sono tre.

O si va avanti ugualmente, anche in presenza di successivi cali della partecipazione elettorale.
O si
cerca di migliorare l'offerta politica adeguandola alle necessità reali della maggioranza dei cittadini.

Diversamente? Diversamente, gli astenuti, non trovando un partito di loro corrispondenza fra quelli attualmente in attività, decideranno di farsene un altro.

* Il tema è assai discusso fra i giuristi, fino ad ora prevalendo l'ipotesi di ritenere valide le consultazioni in assenza di

quorum purché con la presenza salvifica di più liste. Ciò onde evitare il rischio di non far svolgere più alcuna consultazione

stante la grande astensione ormai prossima ovunque al 50%.

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