Deracchi! Con questo termine, ruvido e sconnesso, come le macerie che si lasciava dietro, la consuetudine dialettale del mio paese identificava i temporali violentissimi e inarrestabili.
Deracco! Appena meno di un Derûo d'ægoa, (un diluvio) molto, ma molto di più, di un semplice temporale.
Deracchi! Capaci da soli di creare allagamenti. Quelli che oggi, con un gioco di rimandi al negativo che pesca dritto nella simbologia del terrore armato, sono identificati come: bombe d'acqua!
Nel mondo tradizionale dunque, i Deracchi erano ben conosciuti e molto temuti, per questo erano rispettati. Siccome di solito si verificano in periodo di sbalzi climatici repentini, all'inizio dell'autunno (ottobre) ed alla fine dell'estate (metà agosto), quelle strane giornate di calma piatta che di solito li precedono come gli improvvisi addensamenti provenienti da una ben precisa direzione montana e sospinti da una inequivocabile rotta dei venti erano osservati e valutati con attenzione. Come con diligenza erano mandati a memoria i percorsi fatti dalle ondate di piena. Sempre gli stessi.
Perché l'unico modo per non trovarsi in grave difficoltà contro i Deracchi era quello di evitarli standosene in casa. Anche per difenderla, la casa.
A questo punto avrei voluto dire della mia sorpresa nello scoprire, purtroppo per l'ennesima volta, come ci sia sempre troppa gente che - nonostante la scolarizzazione diffusa, l'informazione puntuale se non precisa, la possibilità di conoscere e capire sicuramente superiore rispetto agli antichi - si fa sorprendere indifesa o impreparata.
Avrei voluto dire del dissesto dei fiumi. Qualche giorno fa, calando dall'alto sulla piana della Scrivia, vedevo l'alveo del torrente disseminato di chiome verde-argentee. Toh, hanno piantato gli ulivi nel corso d'acqua. Invece guardando meglio ho visto che non erano ulivi ma salici. Alberi di una certa altezza e dimensione che sicuramente erano lì almeno da qualche stagione. Poi in quel punto l'acqua ha strappato l'argine e la strada che vi correva sopra.
Avrei voluto dire di questo e di altro ma, come ha rilevato il Sindaco di Genova : “ La Città è malata”. E allora di fronte al momento più tragico che drammatico non parlerò di quanto volevo limitandomi a porre una domanda. A chi di dovere.
Perché per aiutare le vittime del disastro a spalare il fango ed a rimettere in piedi quanto danneggiato o perduto anziché ricorrere ai soliti giovanissimi “Angeli del fango” non si richiamano solidaristicamente per un servizio civilmente utile le centinaia di cassintegrati della regione? I quali, come si sa, sono liberi da impegni di lavoro e retribuiti. Modestamente, è vero, ma pur sempre retribuiti solidaristicamente dalla collettività.
Essere solidali è anche crescere. Nelle responsabilità.