Genova, domenica 15 settembre 2013. Il giorno dei giorni. Il giorno del Derby fra Genoa e Sampdoria. Il giorno in cui un sistema di opposizioni e di affinità molto più grandi e significativi di una semplice ricostruzione intellettuale attraversano una delle città più importanti del Nord Italia.

In tutte le nazioni footballistiche il Derby occupa una piazza scelta nel calendario del campionato. Ma in nessuna di queste nazioni, come in nessuna città, raggiunge il picco emozionale che consegue a Genova, dove la comunità, attraverso il gioco, vive il suo giorno più completo e perfetto dell'anno.
Non solo perché il Genoa è la squadra che in Italia ha inventato il gioco del football. Piuttosto, perché l'altra parte, quella dei Sampdoriani, più che a vincere, cerca persuasione e consenso attraverso una conquista dello spazio cittadino che non va interpretata come una semplice allegoria, poiché data dal giorno della loro nascita.

Alcuni dei fondatori della Sampdoria erano dirigenti del Genoa!Dunque i Doriani, che oggi lo sappiano o no poco importa,  hanno questi caratteri ormai iscritti nel loro sangue, incisi nella loro carne. Sono stati generati dai Genoani!
Figli ribelli, o fratelli pentiti che siano - direi più i secondi che i primi - come i Ciclopi nel remoto Tartaro tutti i giorni dell'anno sono costretti a misurare la distanza che separa la terra dal cielo.
Tutti i giorni meno uno. Il giorno in cui nello spazio di un'ora e mezza possono colmare questo spazio. Il giorno del Derby.
Così tenteranno di fare ancora una volta domenica 15 settembre 2013.
Una allegoria filosofica questa che ha qualcosa del Derby originale. Nato molto prima che nascesse il gioco del football. Esattamente un martedì grasso di un’epoca antica quando due parrocchie della città di Derby, quelle di San Pietro e Ognissanti, cercando verità e seguito l’una a scapito dell’altra attraverso la conquista dello spazio cittadino, danno vita ad una forma di combattimento ritualizzato: un incontro di folk football.
Un gioco antico e molto diffuso nel quale lo scopo era spingere la palla nel campo avversario, mettendo in opera qualunque azione pur di fargli raggiungere la parte opposta. Una gara che dava ai giocatori e al pubblico presente il piacere della sfida richiamandosi all’archetipo consolatorio classico:per un giorno l’autorità politica e religiosa della città cedeva il potere alla collettività. La comunità dunque attraverso il gioco viveva il suo giorno migliore. Per questo ne conservava per generazioni la memoria fisica, a seconda delle variabili: un muro, una linea segnata sulla terra, la porta di una chiesa. In certi casi l’identificazione è stata così stretta che alcuni aspetti di questo sistema godono oggi di buona fama.
Da questo punto di vista a Genova il Derby sopravvive ancora precisamente intatto. Non è una tradizione religiosa, è vero. Ma come detto sicuramente una variante della medesima leggenda. Quella del giorno più importante, in cui la ninfa della cultura popolare, oggi dea del calcio, davanti a gran parte della comunità locale sceglie i suoi eroi: i vincitori della partita.
Difatti, le dispute che interessano i tifosi sugli spalti fanno intravedere il profilo di schieramenti di parte che nel passato erano il principio di classificazione che distingueva le persone e dava ordine alle relazioni sociali ed alle attività quotidiane.

Cosi, come sempre, i Sampdoriani più recenti e un po' timorosi come tutti  i "figli" dinnazi ai loro progenitori, si affideranno ai classici criteri del nome del campione e dello stile di gioco.
Così, come sempre, i Genoani si affideranno ai criteri della corporazione e della parentela che fin dai tempi degli inizi fornivano una guida alla vita pubblica e privata degli abitanti della città storica.

Forse per questo, accanto alle tante bandiere rossoblu ad ogni partita c'è di continuo quella della Regina Vittoria.
Perché a Genova, la Regina, è sempre e solo la Regina Vittoria.