Si dice che ogni anima si sceglie la vita che le tocca.
Secondo il Mito a ciascuna, poi, spetta in abbinamento un senso di individualità del tutto particolare perché le faccia da guardiano e l'aiuti a compiere il destino da lei stessa prescelto. In modo che tutti gli eventi di una vita abbiano una forma compiuta comprendente quei limiti che non si possono oltrepassare e la fine stabilita per ciascuno.
Non sempre questa forma compiuta si vede nella realtà fisica. Non sempre questo inimitabile motivo viene scoperto dall'interessato. Nondimeno diventa visibile quando dietro la pagina della vita si accende la lampada dell'Arte .
È stato così, guardandolo nella controluce dell'Arte di una inaspettata quanto strepitosa esposizione a Theoule sur Mer, tenutasi nell'aprile di quest'anno, che ho scoperto il mistero di Gilbert Paul.
Gilbert Paul. Un pittore che si è definito così: “ Io sono stato influenzato da Van Gogh fra gli altri e mi servo di questa influenza per situare una storia attraverso un posto, un luogo portatore di emozioni e sono queste emozioni che io ricreo con il mio lavoro.”.
Eppure Gilbert Paul non è solo questo.
Ci sono molte più cose nelle sue opere di quanto ammetta quella sua rapida definizione.
Certo, ci sono tante piccole spinte che ricordano dei momenti specifici, delle immagini note o immaginarie, dei colori precisi, (il giallo è davvero lo stesso di Van Gogh) che danno la sensazione irripetibile di una emozione, la fascinazione di un contatto con l'impressionismo, tutto proposto con la soggettività efficace dei segni stilizzati, con l'eloquenza dell'arte naif. Ma c'è di più.
C'è un bisogno pressante ed improvviso, un curioso insieme di circostanze, una segreta e speciale grandezza che lotta per esprimersi.
Tutta l'opera di Gilbert ha per argomento la potenza di questa sensazione. La sensazione che ognuno di noi è chiamato a percorrere una certa strada, che ognuno di noi fin dall'inizio ha una forma compiuta. Questa immagine innata non è nient'altro che una vocazione. La vocazione di Gilbert Paul è quella di rendere la pittura vivente, di dare energia agli elementi.
“Il Vento si alza” - “Le Vent se lève” è sicuramente il quadro che ratifica la pienezza del movimento della natura.
Perché se il Vento ha mai avuto una base su cui poggiare è senza dubbio questo dipinto, come senza dubbio il mio ricordo poggia sul Vento.
Io vengo da Genova, una città di pietra grigia, dura, indocile e contraria.
La si ama volendola odiare. La si odia volendola amare.
Forse per questo a Genova tutto è posseduto dal Vento. C'è sempre Vento. Anche quando tutto all'intorno sembra calma piatta.
Si svolta un angolo, si scollina una rampa ed il Vento è lì con il suo corpo, da odiare se si può o da amare controvoglia. In ogni modo da ammirare in ogni suo aspetto.
Gelido, tagliente, che penetra nelle ossa ammaccandole, dall'autunno all'inverno.
Umido, logorante, stressante, nella buona stagione.
Proprio come nel “Le Vent se lève” di Gilbert Paul. Mai come in questo quadro Vento è stato così Vento, foglie così foglie, natura così natura.
Pare di udire il suo suono strascicato quando il Vento la agita. E di stare a Genova, di sentire la stessa atmosfera, di vedere la stessa luce e pensare: ecco chi è Gilbert Paul; un artista capace di rappresentare sentimenti di unicità e di grandezza rivolgendosi direttamente all'inquietudine dell'anima dei suoi osservatori.
Nel mio caso, sotto il segno del Vento.