Con uno scarsissimo bagaglio culturale specifico ho letto “FAVOLE & NUMERI. L’economia nel paese di santi, poeti e navigatori” scritto da Alberto Bisin e pubblicato da “Università Bocconi Editore" (16 euro).

Favole e numeri

Il modo semplice e non accademico con cui l’Autore, Professore di Economia alla New York University, illustra e spiega alcuni aspetti dell’economia ne rende semplice la comprensione anche a persone come me.

Come da sottotitolo “…paese di santi, poeti e navigatori ” l’analisi della situazione della repubblica italiana occupa la maggior parte della trattazione.

In particolare nel capitolo “Lavoro, produttività, welfare” ho trovato considerazioni che mi hanno indotto ad un istintivo paragone con quanto proponiamo per lo sviluppo dell’intrapresa nella nostra Terra.

Pagina 131 “Purtroppo la politica del lavoro in Italia è profondamente carente. Una carenza dovuta anche (o forse soprattutto) a una grave mancanza di comprensione dei rapporti tra mercato del lavoro e attività produttiva in una economia di mercato.”.

Pagina 133 “Sono quarant'anni che in Italia siamo attanagliati dalla logica della contrattazione salariale centralizzata, associata alla regolazione per legge delle forme contrattuali: i risultati sono sotto gli occhi di tutti. E non è un caso: tutta la teoria economica ci dice che interventi diretti per regolamentare prezzi e condizioni contrattuali portano a gravi inefficienze.”.  Appunto : politica nel lavoro e centralizzazione sono agli antipodi della libera trattativa tra chi offre un lavoro e chi ha le capacità tecniche per realizzarlo. Direi che l’ingerenza della politica e l’accentramento della regolamentazione sono perfetti per soffocare il lavoro.

Pagina 134 “Nonostante la situazione drammatica del mercato del lavoro in Italia, continuiamo a raccontarci la favola della lotta di classe, nella versione movimentista del «salario variabile indipendente» di sraffiana memoria …”. E seguono le citazioni di tre “intellettuali”. Anche in questo caso ritengo di poter dire che l’ingerenza della politica, cui si asservono ragionamenti da azzeccagarbugli, va nel senso apposto alla creazione di occasioni per ottenere il benessere. Fomentare dissidi, invidie, conflitti serve ai politicanti per giustificare la loro esistenza e tutti i benefici di cui godono, di certo danneggiano coloro che vogliono intraprendere.

Pagina 136 e seguenti, paragrafo “Protezione dell’occupazione”. In queste pagine ho trovato alcune considerazioni “americane”, in realtà solamente ed estremamente logiche, sul lavoro ed il precariato.

Pagina 136 “In Italia la protezione legale dell’occupazione consiste in norme che … proteggono direttamente il posto di lavoro … al contrario, del tutto inadeguato è il sistema di ammortizzatori sociali atto a proteggere il lavoratore che abbia perso il posto di lavoro …”.

Pagina 138 “Secondo i risultati più robusti, una maggiore protezione del posto di lavoro implica una minore velocità di ricollocazione dei lavoratori … una minore occupazione ed una maggiore disoccupazione per giovani e donne …”.

Pagina 139 “In conclusione, che cosa potremmo aspettarci da un allentamento della protezione dell’occupazione, nel senso di protezione del posto di lavoro? Il mercato del lavoro diventerebbe più dinamico: più lavoratori perderebbero il lavoro, ma più persone ne troverebbero uno.”. Mi ripeto ma mi pare sia evidente che uno Stato -come quello italiano- pesante ed invasivo di tutti i settori della società, dalla legislazione pletorica e frequentemente contraddittoria, sia nocivo per il benessere di chi vuole darsi da fare. Di lavoro precario ne sentiamo parlare e ne leggiamo tutti i giorni ma anche su questo argomento incombe l’italico, premeditato , malinteso atto a fomentare la conflittualità se non addirittura l’odio che fa gioco ai politicanti di turno.

Pagina 140 “Quella di precario è la condizione in cui si trova un lavoratore a tempo indeterminato in una occupazione con minime prospettive di avanzamento di carriera e/o di trasformazione a tempo indeterminato e in un mercato di lavoro caratterizzato da alta e cronica disoccupazione.”. Quindi un precario non è il lavoratore che non è assunto in un “posto fisso” come ci danno da intendere; se il mercato è libero ed una persona è capace ed ha voglia di lavorare può cambiare tanti posti di lavoro senza mai rimanere disoccupato. Precario, nel lavoro come nella vita, è colui che ha poca conoscenza e si ritrova in una società senza riciclo di occasioni per le leggi che ingessano il lavoro. E quanto scrivo penso non sia una mia erronea interpretazione tanto è vero che negli esempi newyorkesi citati dall’Autore a pagina 141 la “precarietà” , cioè la propensione a cambiare i lavori “… è libertà, è qualità della vita; e si trova a tutti i livelli sociali ...”.

Ho già scritto troppo quindi vedo di chiudere rapidamente.

Le ultime venti pagine sono sostanzialmente dedicate all’analisi complessiva del sistema italiano che può sintetizzarsi in: spesa pubblica eccessiva, clientelare ed inefficiente.
Quindi uno Stato che succhia risorse e rende servizi scadenti complicandoci enormemente la vita.
Qualsiasi persona di buon senso si libererebbe di un fardello così dannoso e pesante.
I genovesi, invece, no. Rinunciano ad esercitare il diritto di staccarsi dallo Stato italiano ed abbandonare alla deriva una barca che ci porta alla rovina. Maniman …