L’estate scorsa, al Festival dell’Economia di Trento, Genova veniva presentata come al quintultimo posto nella classifica della “Qualità della vita per i giovani”. Una proiezione negativa rispetto al 2021 quando, nella stessa classifica, era in 88ª posizione. Ma nel giugno scorso la questione era più intricata dato che peggio di Genova figurava solo Taranto.
Guarda caso l’altra città contrassegnata esponenzialmente dall’insistenza dell’industria siderurgica.

A questo dato si sommano due elementi.

Il PUMS 1 di Genova, in fatto di previsioni demografiche, nei prossimi venti anni stima una perdita di 100.000 abitanti nella regione ed un invecchiamento generale che porterà ad avere meno del 30% della popolazione inferiore a 35 anni mentre gli over 65 saliranno di 50.000 unità rispetto ad oggi
In Europa solo le Asturie faranno peggio.

Inoltre se si prende il parametro Smart, relativo ai progetti ed all’applicazione dell’innovazione, Genova è spesso fra le prime città quando si tratta di parlare della lingua degli smartness per poi regolarmente collocarsi agli ultimi posti quando si tratta di verificare le iniziative attuate. Al pari di Napoli, appena sopra Palermo, Bari e Reggio Calabria. Sarebbe bello poter dire che si è in compagnia del Sud che vince ma, all’opposto, questo dato purtroppo ancora si legge come il Sud che perde.
In cima alla classifica ci sono Torino, Bologna, Milano e poi Roma, Firenze e Venezia seguite da altri centri più abili del capoluogo ligure.2

Messa in questi termini la storia fra i giovani e Genova sembra chiusa per sempre, eppure non è così.
Non fraintendiamo. La Città non è in grado - per l’insipienza del suo gruppo dirigente, monopolista, conservatore e pure poco attento al mondo circostante - di risolvere la querelle ma i giovani possono risolversela da soli. Basta che facciano ciò che le politiche europee gli consentono ed adoperino gli strumenti che le stesse gli mettono a disposizione.
Da più parti si sente dire che i giovani sono lasciati soli, che non ci sono sufficienti risorse a loro disposizione, che non avranno una pensione di anzianità, insomma che dovranno accontentarsi di quel poco che passa il convento.
Non è vero. Mai come nel momento a noi contemporaneo ci sono state tante risorse economiche a disposizione di chi ha meno di 35 anni. Quelli che dicono il contrario lo affermano o per ignoranza o per interesse di categoria.
È chiaro che se le risorse vanno ai giovani queste non saranno più disponibili per sostenere le politiche dello spreco pubblico, delle grandi opere mai finite, degli incroci fra economia e politica.
Ma i fondi ci sono. Allora i giovani devono chiederli e fare i passi necessari per ottenerli.
Non troveranno corrispondenza negli Enti pubblici, i quali già perdono i finanziamenti loro spettanti e quindi come potrebbero essere in grado di occuparsi di quelli altrui? Non la troveranno neppure nelle associazioni di categoria organizzate secondo criteri ormai polverosi.
Dovranno fare da soli. Cercando aiuto laddove questo è possibile compiendo le quattro azioni che la loro età e la loro energia consentono: ricercare, monitorare, analizzare e produrre contenuti.

Il resto verrà da solo.

 

1 Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile.
2 Fonte, Progetto GAP, Governance Analysis Project, Distribuzione iniziative Smart fra le principali città italiane.

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