Caso ILVA. Sei anni per arrivare ad una svolta.
Sei anni nei quali, almeno a Genova, si è persa un'occasione; quella di immaginare un futuro diverso dal presente e dal recente passato.
Se, dal punto di vista pratico, Regione e Comune di Genova poco potevano incidere -stante la rilevanza della posta in palio- il loro atteggiamento e quello della società ligure si è rivelato abbastanza miope. Potevano almeno confrontarsi con il problema di definire una soglia critica per ritrovare linee di sviluppo forti sul versante della ricerca scientifica e dell'innovazione tecnologica. A tale proposito gli esempi non mancano.
Già nel 1982[1] c'era chi aveva immaginato un futuro diverso da quello dei settori manifatturieri tradizionali. E a ben guardare non poteva essere diversamente. Era la logica stessa delle cose a portare in primo piano la necessità di procedere a mutamenti profondi nell'economia. Adesso ancora di più.
Allora perché non rendere più approfondito il dibattito sul futuro delle aree attualmente destinate alla siderurgia? Un comparto che, nonostante l'accordo, non ha risolto i dubbi che riguardano le sue reali funzioni e le sue prospettive.
Le rivoluzioni tecniche, economiche e sociali che stanno affermandosi ed in gran parte si sono già affermate si distinguono infatti per offrire un insieme di strutture di conoscenza informatiche, tecnologiche, di comunicazione, oltre che culturali riassumibili in un'idea di futuro nel quale i vincoli di spazio, tempo e distanza sono addirittura all'opposto rispetto a quelli dell'industrializzazione novecentesca[2]. Non più enormi spazi per grandi agglomerati produttivi dove si impiegano, proporzionalmente, pochi addetti a media o bassa qualifica. Ma spazi ridotti ove concentrare centri di ricerca, centri direzionali produttori di conoscenza e gestori della sua diffusione con un numero rilevante di occupati con qualifiche ai più alti livelli. È su questo piano che oggi si misura la capacità di un sistema, e delle sue aree territoriali, di proporsi quale centro produttore o meno.
Non è una novità. Neppure per Genova.
Già nell'anno 2004 in conclusione dell'esperienza di “Genova capitale europea della cultura” l'Arte, con la sua consueta capacità di indicare implicitamente ed esplicitamente un tracciato per l'avvenire, di fronte alla domanda "Quale futuro per Genova?" aveva dato la sua precisa risposta.
Scegliere se riprendere la sua vocazione storica di capitale con capacità direzionali per ritagliarsi un ruolo accanto alle città “globali” dell'Europa, oppure rimanere ancorata al suo recente passato di città-fabbrica con molti quartieri degradati al rango di periferie industriali per abitanti limitati nelle loro scelte di vita dalla carenza di potenzialità.
Nessun equilibrio era possibile fra le due possibilità; o l'una, selettiva ed altamente differenziata, o l'altra, mediocre e trascurabile.
Sotto questa luce si capisce come il non aver approfittato della questione “ILVA-ArcelorMittal” per interrogarsi più compiutamente del futuro di Genova e della Liguria sia sta un'occasione persa. Certo, le Amministrazioni attualmente in carica, tanto per la Regione quanto per il Comune, non potevano andare oltre questo.
Il caso “ILVA” ha radici ben più profonde che, intanto, pescano nel Novecento mussoliniano quando si decise di destinare il ponente cittadino ad una “vocazione”[3] industriale ed il levante ad una residenziale.
Principi consolidati nel Dopoguerra e mai smentiti. Neppure quando probabilmente ce n'era l'occasione. Sicuramente negli anni '80, al momento della cessione della siderurgia di Stato all'imprenditore Riva, e forse ancora nell'occasione degli accordi di programma sulla riconversione industriale di quelle aree stipulati nel novembre del 1999, e relative modifiche del ottobre 2005, da Regione Liguria, Provincia di Genova e Comune di Genova con i Ministeri, le Autorità competenti ed i Sindacati. Ma all'epoca gli elementi comuni del mondo politico, imprenditoriale e sindacale erano molto legati ai modelli produttivi storici. Ne accettavano il dettato faticando a raccogliere le sfide economiche e sociali che già si annunciavano.
Tale orientamento in realtà era un disorientamento. Ma il mondo e la sua storia non accettano le minimizzazioni. Adottano un sistema classico.
O cogli le occasioni o le perdi.
[1] In quell'anno a Genova Carlo Castellano dava vita ad Esaote come Divisione Ansaldo Elettronica Biomedicale S.p.A.
[2] Ancora adesso ILVA occupa con diritto di superficie un'area di 1.095.000 mq ai quali vanno aggiunti 76.000 mq di banchine e 44.000 mq di proprietà a fronte di 1500 occupati. Ciò in una città avara di spazi.
[3] La “vocazione” era quella affermatasi compiutamente nel secondo Ottocento dove il ponente genovese aveva finito con l'assumere un ruolo industriale perfettamente integrato nel “Triangolo” con Milano e Torino.