In questo modo, parafrasando il titolo del famoso dramma, mi sento di descrivere lo stato d'animo di molti politici dopo le elezioni regionali in Emilia e Calabria di domenica scorsa che ha segnato il record assoluto di astensione. Oltre il 60%.
Come il protagonista della tragedia, rischiano di finire reclusi nella dimora della loro potente categoria nel tentativo di confutare non tanto, il verdetto delle elezioni, quanto il principio stesso del processo elettorale per come, storicamente, si era sviluppato e loro, comunque, lo avevano sempre immaginato e voluto: un diritto universale obbligatorio che in quanto tale valeva anche come scopo della società. In una evoluzione dove la legittimità e l'importanza dei candidati procedeva di pari passo con il numero dei votanti.
Un'interpretazione che, ai tempi d'oro del Proporzionale, collegava il titolo di vincitore delle elezioni all'ottenimento del 50% più 1 dei voti validi. Mentre nella “seconda Repubblica”, persuaso del dominio dell'etica dell'investitura diretta, il potere politico ha fissato nel 50% più 1 degli aventi diritto al voto il limite minimo sotto al quale, con la fine del consenso plebiscitario, perdeva anche la legittimità ad amministrare l'esistente.
Culturalmente, una delle tante contraddizioni tipicamente italiane dove ai principi, alla moralità, ai programmi, al rispetto assoluto di quello che gli angli ed i sassoni chiamano Law and Order, si è anteposta una condizione formale, un atteggiamento minimale ben lontano da ogni razionalità”.
D'altro canto tale concezione appare talmente assimilata da evidenziarne una persistenza attraverso le diverse generazioni. Farne un inventario sarebbe troppo lungo.
Basti dire che “l'essere là” per consuetudine vale di più del “che cosa ci si faceva là”.
Tecnicamente, un suicidio.
Se dalle qualità significative della politica levi i contenuti delle azioni ed i loro effetti per sostituirli con il dato statistico del maggior numero di elettori nei seggi, che magari votano per non prendersi delle responsabilità, ti trovi in un sistema ambiguo. Rappresentativo, ma non totalmente legittimativo.
E siccome la politica è anche un'attività creativa, se il creatore si nega dapprincipio la possibilità di creare prima o poi si troverà nella condizione in cui non potrà più muoversi.
In tempi di “prima Repubblica” è quello che era successo a Craxi.
Nel 1992 fu il fatto che la sua coalizione, pur avendo la maggioranza dei seggi in Parlamento, si fosse fermata al 48,8% alle elezioni, non l'arresto di Mario Chiesa, a decretarne la caduta.*

In tempi di “seconda Repubblica" è quello che è successo domenica scorsa.
E adesso?
Adesso i politici nazionali daranno la colpa del disastro a quelli regionali. Se ne avranno il tempo regoleranno la questione con la totale messa in discussione dell'Ente Regione. Questo non porrà fine al problema.
Squarciato il velo dell'illusione che ne ricopriva le faticate decisioni su che cosa agiranno ?
Quali saranno i nuovi limiti dei loro poteri?
Se, come sembra, la rivoluzione di Renzi non riuscirà ad aumentare il suo consenso oltre l'attuale, misero, 20% assoluto e gli altri partiti tutti insieme faranno la stessa somma continuando a non intaccare, riducendola sensibilmente, l'area dell'astensione, dato lo schema descrittivo con cui abbiamo cominciato questa riflessione, tutto diventa possibile.
In una situazione con 5 e più elettori su 10 in cerca di nuovi riferimenti quando i soggetti rappresentativi classici non fanno emergere nuove idee non è che tutto si pietrifica.
All'istante dell'impasse segue subito la richiesta di una nuova possibilità per il futuro.
Ognuno ci veda quel che vuole.

Per chi lavora, paga le tasse, bada al centesimo e tiene fede ai principi, una comunità non può rimanere a lungo senz'anima. Perfino i professionisti della fuga dalle responsabilità prima o poi si scontrano con la necessità. Comunque, basta aspettare per scoprire come andrà a finire. Intanto, si comincia con il mandare in scena il dramma : “ I Consiglieri regionali di Altona”.

* Storico [ N. d. A.]

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