Oggi, in una situazione difficile com'è quella segnata dall'epidemia di Coronavirus, molti pensieri ricchi di dubbi si affollano alla mente. Molte reazioni emergono confusamente, magari togliendo energia. Molte tendenze transitano dalla memoria del passato all'esperienza quotidiana in cerca di appartenenza. Questo stato di indecisione, pur con tutti i suoi limiti emotivi e psicologici, una qualità ce l'ha: aumenta il livello di sensibilità individuale permettendoci di scoprire un po' di più su noi stessi.

Per esempio, osservando come i vari Paesi reagiscono al contagio, si vede come la cultura, intesa come sedimento, sostrato autobiografico, sul quale si innestano comportamenti e attitudini, giochi un ruolo determinante a livello di risposta politica e comportamenti sociali.

Culture incentrate sul senso del dovere, sulla responsabilità individuale come fondamento di quella collettiva, sul senso di appartenenza ad un gruppo, agito e non solamente raccontato, risponderanno con forza, efficienza e coesione.

Altre, incentrate su un senso di appartenenza ad un gruppo raccontato ma non agito, su un individualismo spicciolo occhieggiante ad un collettivismo di maniera, sempre alla ricerca di diritti da esercitare e da doveri da disertare, risponderanno male. Con sofferenza, smarrimento, ritardata efficacia. Con un'implicazione in più. La sofferenza ed il senso di soffocamento che può prendere alla gola chi, vivendo in un contesto come quello appena più sopra descritto, appunto per cultura e tradizione non vi si riconosce appieno privilegiando sempre la responsabilità individuale ed il senso del dovere.
È una sensazione molto spiacevole. Perché già si sa che un parte del pericolo verrà dal prossimo. Il prossimo è quello adiacente; quello che adesso dovrebbe fare il suo dovere ed invece si fa i fatti suoi magari contravvenendo ai divieti, vendendo le mascherine sottobanco, privilegiando artisti, calciatori e chissà chi altro rispetto ai sanitari che lottano in prima fila. Ma non solo.

Il prossimo è anche il principio di coerenza incoerente che attraversa tutta questa nostra strana società  la quale, anziché mettere ai posti di comando -quali che siano- i più preparati, ci piazza i “belli da TV”. Eroi dei talk show, primatisti del sorriso accattivante, campioni delle conferenze stampa.

Naturalmente non sempre è così, ma troppo spesso sì.

Una delle conseguenze di questa complicazione è che il Paese invece di affrontare i problemi dall'inizio e cercare di ricostruirli e risolverli nella loro complessità tende ad affrontarli a singoli pezzi assegnandone uno a ciascuno con la speranza che si incastri con gli altri. Separando in questo modo, con i pezzi della realtà, anche le forze atte a cambiarla. Così, per i moltissimi che si battono generosamente, ci sarà sempre qualcuno che starà a guardare o si metterà in mezzo.

È sempre stato così, non è questione di adesso. Ma nei momenti decisivi, essere sostenuti da un certo tipo di cultura o da un'altra, pesa. Tremendamente.

Dio ci aiuti.

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Fino agli ultimi confini del Mondo copertina

Il libro è stato presentato venerdì 15 novembre alle 17:45

nella Sala Michelangelo del Hotel Bristol Palace

in via XX settembre 35 - a Genova