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- Scritto da Pier Cristiano Torre
- Categoria: Storia e geografia
Sono sullo scalone sinistro di Palazzo Ducale. Nella parete di fronte c’è un affresco di D. Fiasella raffigurante la Madonna e i Santi patroni di Genova posti attorno a Dio Padre che regge il Figlio esangue. Il dipinto traduce visivamente questo messaggio: la Repubblica è ferita ma viva!
Un messaggio che ha in sé l’essenza della prima metà del Seicento Genovese. Un periodo decisivo per il confronto interno al patriziato orientato a superare la classificazione vecchi/nuovi e legato ad obiettivi politici differenti.
La guerra del 1625 contro il Piemonte vinta, dopo aver patito i sudori freddi, con l’aiuto esitante della Spagna, aveva girato una pagina. La bancarotta del 1627, conseguente alla sospensione dei pagamenti ai creditori, voluta da Filippo IV, che aveva deciso di sostituire i finanzieri genovesi con i portoghesi, era stata un segno del tempo. Il voltafaccia dello stesso Sovrano spagnolo che, una volta ottenuta la procura a trattare la pace per conto della Repubblica, si era messo a trafficare con Carlo Emanuele di Savoia e la congiura di Vachero del 1628 avevano indicato l’estensione del fenomeno. La Spagna, sul piano politico e militare non era in grado di imporre niente a nessuno. Questo dato metteva in discussione gli assetti creati nei cento anni precedenti, portando alla ribalta un nuovo ruolo per Genova svincolato da protezionismi stranieri.
Tra i teorici del nuovo corso, identificati dagli spagnoli come republiquistas, c’erano: Andrea Spinola, Anton Giulio Brignole Sale, Raffaele della Torre,Giacomo lomellini, Agostino Pallavicini, Gio. Bernardo Veneroso, Galeazzo Giustiniani. In una parola gli uomini più rigorosi e colti del Dominio.
A questi, si contrapponevano quelli che avevano forti interessi in Spagna, per ciò chiamati spagnardi. Tra loro figuravano: il Principe Gio. Andrea Doria, Pantaleo Balbi, Gregorio Spinola, Adamo e Luigi Centurione, Benedetto De Mari, Giacomo De Franchi. In una parola gli uomini più ricchi e potenti della Repubblica.
Questi due orientamenti taglieranno trasversalmente la vecchia divisione stabilita secondo i Portici e il loro confronto investirà tutti i campi di interesse generale.
I repubblichisti lotteranno per un nuovo stile di governo e per l’efficienza della pubblica amministrazione, per il potenziamento della flotta mercantile e il ritorno alla grandezza commerciale, per la rinuncia all’espansione territoriale e la tranquillità sociale, per la sicurezza dei confini e il riarmo.
Gli spagnardi difenderanno la necessità dell’alleanza spagnola e la struttura dello stato repubblicano, il mantenimento del potere personale degli eminenti e la condanna di tutte le idee autonomistiche, la neutralità disarmata e il ruolo degli assentisti nell’armamento nautico, la revoca dei diritti fiscali alla Riviere e la politica degli ingrandimenti territoriali.
Questo antagonismo troverà corrispondenza in un triade di manifestazioni che saranno oggetto di scelta alternativa o d’amalgama per la Liguria delle epoche successive. Contemporanea compresa.
Saranno i repubblichisti a consegnare il riconoscimento della dignità dello Stato all’acquisizione del titolo regio. In un regno senza monarca, la riproduzione simbolica del nuovo prestigio non poteva essere né banale né astratta. Si poteva pensare al Doge ma la cautela lo sconsigliava. La personalizzazione dello stato verrà così affidata alla retorica dell’adorazione e della rappresentazione propria del formulario cristiano. La Madonna Regina, già oggetto fra i Paesani di sentimenti spontanei come la devozione e l’amore, garantirà alla Repubblica quella risonnanza popolare che prima non aveva.
Popolarizzata dalla Madonna regina, la Repubblica diventerà fenomeno assoluto con la trasformazione radicale, in soli sette anni, del panorama che fa da corollario alla città di Genova.
Le nuove mura, fabbricate tra il 1626 e il 1633, razionalizzeranno lo sforzo intellettuale dei repubblichisti e interpreteranno la cultura dell’interesse privato negli affari pubblici propria agli spagnardi. Metà dell’argento preso dagli spagnoli nel Messico è finito lì.
L’acuirsi dei costi del riarmo di una flotta mercantile provocherà il riavvampare della polemica politica. Gli orizzonti dei due schieramenti troveranno perfetta simmetria in una sfida navale sulla rotta per la Sicilia, tra una galea di catena, ossia con una ciurma di forzati, e una galea di libertà, ossia con dei rematori salariati. La galea di libertà trionferà sulla Capitana, la nave più veloce dello Stuolo pubblico.
Battuti a colpi di remo, gli spagnardi riprenderanno il sopravvento a tratti di penna. Il successo della galea di libertà aveva favorito l’ascesa di una Compagnia marittima privata dedita al commercio della seta. Traffico, soppresso dal governo che lo riserverà alle sole navi dello Stuolo pubblico. La Compagnia cadrà nell’oblio. Non gli uomini che queste sfide fecero grandi.
Li ritroverete un po’ sovrani, un po’ santi, un po’ corsari, nei ritratti esposti nei musei. Andate a vederli. Lo meritano.
* [ da Che l’Inse? N. 22 giugno 2003]