Da martedì 19 novembre i dipendenti di AMT (Azienda Mobilità Trasporto del comune di Genova) sono in sciopero.
Dopo tre giorni di ansia, alterazione, raid nell'aula del Consiglio comunale, prese di posizione, blocchi stradali, respingimento delle ingiunzioni di precettazione, oggi per il quarto giorno l'agitazione continua.
Non è più uno sciopero.
E' un avvenimento epocale. Quasi un inizio di rivoluzione.
E' dalla “settimana rossa” del giugno 1914 che non c'è più stato un così forte vento di protesta. Allora furono socialisti, repubblicani e anarchici a scendere in piazza contro l'uccisione di tre giovani operai ad Ancona. Oggi sono i dipendenti dell'AMT Genova, a scendere in piazza contro l'in-efficientismo della politica, i condizionamenti dell'economia, l'indifferenza delle persone.
Se gli abitanti della città fossero intellettualmente onesti scenderebbero in piazza insieme agli autisti.
Occuperebbero Piazza della Vittoria ad oltranza. Costi quello che costi. A cominciare dal futuro biglietto del bus naturalmente.
Siccome i genovesi intellettualmente onesti non sono, non scenderanno in piazza con gli autisti.
E qui si apre il primo fronte sul quale è ingiusto mandare a morire i dipendenti.
Il servizio di trasporto pubblico a costi (per l'utenza) oltremodo protetti più in là che insostenibile economicamente è culturalmente sbagliato.
Il senso del trasporto pubblico è quello di permettere gli spostamenti all'interno di una determinata area (città, paese, ecc.) secondo una scala di priorità. Per cominciare chi si sposta per necessità inderogabile (lavoro, urgenze, ecc.) , per finire chi si sposta per svago o passatempo.
Per questo in tutto il mondo civile i biglietti del bus costano da € 1 a corsa in su.
A Genova invece il costo è di € 1,50 per 100 minuti. Così chi sale sul bus per necessità e fa, poniamo, due corse al giorno (andata e ritorno) spende almeno 3 € (contro i 2 del sistema europeo) mentre chi lo prende per diletto gira tutto il giorno con quattro soldi.
Per quale ragione?
Perché il concetto che ha guidato le generazioni passate dei genovesi è stato quello del malthusianesimo. L'idea cioè che una società composta di vecchi, possibilmente pensionati, potesse essere più vitale di una fatta di giovani.
Secondo questo concetto il pensionato era visto come una futura fonte illimitata di ricchezza pubblica , data appunto dalla pensione. Una rendita abbastanza facile (visto che era ottenuta senza un autentico rapporto reale con la posizione contributiva) che avrebbe soddisfatto le esigenze future della popolazione medesima.
Invece questa rendita se ne è andata tutta a finire in “badanti” e sanità e gli spavaldi malthusiani di ieri oggi sono dei vecchi miseramente costretti a prendere l'autobus per svago. L'unico rimastogli.
Risultato: un servizio sempre più ridotto nella qualità, sempre più in deficit nella quantità.
Qui si apre il secondo fronte sul quale è arbitrario mandare a morire i dipendenti.
Il vuoto politico che ha segnato il rapporto fra la città di Genova ed il suo sistema di mobilità urbana.
La nozione ed il concetto di mobilità urbana a Genova sono morti quando sono stati tolti i tram: il 27 dicembre 1966. Da allora il trasporto pubblico di superficie ha cessato di essere un elemento essenziale della mobilità. Infatti il tram movimenta più passeggeri del bus, è più longevo e più veloce.
Così mentre in Italia e in Europa si mantenevano o si introducevano i tram, Genova li toglieva.
Poco dopo provvedeva a sopprimere anche i filobus.
Da allora tutti gli ulteriori interventi sono stati orientati ad un taglio del servizio, tanto che ad oggi alcune zone della città, come la Val Bisagno, di fatto sono quasi sprovviste di linee di trasporto pubblico mentre le aree centrali sono servite da una modestissima linea di “metrò leggero”.
Costata l'ira di Dio e con tempi commerciali di prestazione fra una stazione e la successiva (calcolati a partire dall'entrata e uscita dei sottopassi) superiori a quelli impiegati sulla stessa tratta in superficie da un pedone.
Per saperne di più basterebbe leggere le pubblicazioni di Claudio Serra, il più autorevole studioso genovese in materia. Sennonché nessuno legge.
Né i libri, né gli atti della Civica Amministrazione.
Tutte le questioni, politicamente, sono sempre state affrontate costretti dall'emergenza che serrava alla gola e talvolta con dei modi che fanno temere si volesse tacere qualcosa di essenziale.
La ridefinizione di AMT, AMIU e ASTER da comunali a società partecipate, oltre che una risposta a problemi oggettivi di bilancio, onestamente parlando portava già in sé un orientamento verso la privatizzazione di quelle società.
Al tempo il comune di Genova aveva circa 8.000 dipendenti ed anche i sostenitori più accreditati del principio del “posto pubblico” per tutti avevano ben presente che prima o poi tale carico finanziario sarebbe risultato difficilmente sostenibile per l'Amministrazione.
La costituzione delle “partecipate” non risolveva il problema ma certamente poneva le basi per risolverlo in una maniera più diretta. Come detto, una qualche forma di privatizzazione.
Restano invece tutte da verificare le voci circolanti nei corridoi del Comune, secondo le quali già dall'inizio della storia fra le ipotesi dell'intero processo di ristrutturazione-dismissione aziendali fosse stata presa in considerazione anche quella del possibile fallimento finale.
Ho dei dubbi su tutto ciò, se non altro perché il costo finale per la collettività sarebbe stato ancora più alto, tuttavia non si può negare che nel corso degli anni '90 l'evolvere darwiniano, la competizione serrata, intimamente veniva considerata giusta da molta parte della Sinistra.
Sia come sia il Sindaco Doria, essendo l'ultimo arrivato, evidentemente è quello che ha meno colpa di tutti. Il suo difetto è quello di aver temporeggiato.
Oggi non è più possibile.
Le vicende del mondo viaggiano ad una velocità impressionante. Ciò che si vede ora non sta accedendo in questo preciso momento ma è accaduto ieri o avantieri in un posto lontanissimo.
Per essere al passo con i tempi della contemporaneità bisogna vivere costantemente nel futuro prossimo, non nel presente. E' un intero sistema di pensiero che va modificato.
La crisi economica dei nostri giorni ha fatto di questa esigenza un imperativo categorico. E' pronta Genova ad un simile passo? O cullandosi nel falso mito della città “crudele e carnivora” preferirà prendere tempo sacrificando come carne da macello l'AMT?