Dalle pagine de “Il Secolo XIX” edito il 28 c.m. si apprende come scolari e genitori, approfittando dell’astrattezza dell’insegnamento a distanza, ne stravolgano le regole concordate rendendo la vita assai difficile agli insegnanti. Questi ultimi richiamano, ammoniscono, minacciano sanzioni. Alla fine, quel che si capisce, è il fallimento della didattica a distanza.
Verosimilmente le cause sono molteplici e la gran parte di esse sfuggono alla mia comprensione. Qualcosa però intravedo. L’istituzione scuola non sembra aver compreso la portata della rivoluzione telematica in corso. La tecnologia fisicamente separa le persone purtuttavia le mette in confronto diretto. Cioè elimina totalmente la funzione che nelle attività in presenza è riconosciuta alla figura del mediatore. Da questo punto di vista il confronto on-line tra docente e classe si spezzetta in una quantità di scontri diretti aventi tutti le caratteristiche di un corpo a corpo. Uno scambio a distanza ravvicinata nel quale nessuna delle due parti in attrito può far valere la protezione di un ruolo dato precedentemente. Vince chi ha maggiore autorevolezza, non maggiore autorità.
Gli insegnanti non hanno grande autorevolezza. Spingendo la questione fino al limite della provocazione bisognerebbe dire che neppure possono averne essendo stati formati da quella stessa scuola della quale adesso si lamentano.
Genova ne sa qualcosa.
Lungo i primi tre quarti del Novecento ricca di spunti, ed articolata su più livelli fra pubblico e privato, l’offerta formativa della Città è stata progressivamente logorata fino a disperdere sul finire di quel secolo - nel nome ministeriale del programma, della lotta di classe e del diritto alla promozione scolastica, non sociale - le sue migliori competenze.
Istituti di primissimo piano, anche se privati e cattolici, sono stati prima diminuiti, accusati di conferire un diploma a chiunque purché ricco abbastanza da pagare la retta, e poi portati alla chiusura per far posto alla “scuola laica”. La quale fa pagare tutti, anche quelli che non ci vanno, e diploma tutti, soprattutto quelli che, per una ragione o per l’altra, non la frequentano con profitto.
Ma allora, se la questione rimonta la storia recente, vien da chiedersi perché si sia reso possibile il fallimento dell’istituzione scuola.
La risposta è così scontata che quasi neppure la manifesto. Soldi, bilanci.
Invece dirò che con la democraticizzazione della società si è voluto democraticizzare anche la scuola. In sé, tutto bene. Soltanto che il percorso adottato non ha puntato a permettere al maggior numero di persone possibili di accedere al miglior livello formativo attuabile, selezionando in questo modo i più capaci e fornendo agli altri meno attrezzati una preparazione comunque adeguata a salire la scala della vita. Viceversa ha puntato a fornire alla platea dei suoi utenti un servizio indifferenziato tanto che, oggi, la scuola viene e può essere intesa come una delle diverse attività che inevitabilmente si succedono nella vita di un uomo.
Nella pratica, naturalmente, non tutto è andato a finire così. Ci sono scuole e scuole e dire dove hai studiato equivale a definire chi sarai dopo.
Tuttavia questo concetto non è molto condiviso se un uomo di sicuro livello come Roberto Cingolani, Ministro della Transizione Ecologica, ha manifestato malumore circa l’insegnamento della storia antica, quasi quella materia distogliesse energie e tempo allo studio di discipline più specialistiche. Ma se il problema è questo non bisogna tagliare le materie ma ridefinire i calendari e prolungare l’anno scolastico.
Il punto in argomento non sono le monoculture, per quanto specializzate, ma la capacità di ragionare.
Così si arriva al momento iniziale nel quale l’insegnante-genitore ammonisce lo scolaro indisciplinato mentre dall’altra parte dello schermo lo studente-figlio sbeffeggia un collega del suddetto ascendente.
Come finisca la storia al suono della campanella non è dato sapere. Forse con una bella riunione di famiglia, ognuno attorno al suo proprio cellulare.
Ignoranti quanto basta ma molto specializzati.