Pasquetta ed il Lunedì dell'Angelo
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- Scritto da Pierluigi Patri
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Nelle terre di parlata Genovese anche quest'anno si è perpetrato lo scempio (uno tra i tanti) delle nostre tradizioni, vale a dire l'uso del termine "Pasquetta" per intendere il giorno successivo a Pasqua : il Lunedì dell'Angelo. Per i Genovesi o Lunesdì de l’Àngiou.
Per noi Pasquetta è il 6 gennaio e rappresenta il coerente uso del concetto di Pasqua.
Pasqua commemora la resurrezione di Cristo, cioè la sua nuova vita dopo la morte.
Il tributo dei Re Magi al bambino Gesù ha rappresentato il riconoscimento della sua natura divina, cioè una nuova vita.
Questo per chiarire l'interpretazione Genovese di quanto accaduto il giorno dell'Epifania.
Pasquetta è il termine usato dagli italiani; espressione che ha infiltrato da molto tempo i nostri usi.
Credo che tra i primi ad usarlo -a sproposito- nella nostra Terra sia stato "Il Secolo XIX", cioè l'edizione locale del quotidiano torinese. Peraltro il Secolo continua ad utilizzare "basso Piemonte" per intendere le Terre dell'Oltregiogo in perfetto allineamento editoriale.
Non intendo contestare agli italiani l'uso di "Pasquetta" perché perfettamente legittimo; per quanto riguarda l'edizione genovese de "La Stampa" capisco sia l'adeguamento alla casa madre.
Trovo, invece, ingiustificabile ed autolesionista quando "Pasquetta" viene utilizzato da coloro dovrebbero rappresentare la cultura locale.
Oggi ho avuto occasione di seguire su l'emittente "Telenord" la parte finale della telecronaca di Como-Genoa in cui il conduttore Nuti Giuseppe (detto Beppe) ha augurato buona "Pasquetta" agli ascoltatori. Fatto davvero curioso per uno che si è fatto strada nelle emittenti genovesi, quindi con un curriculum formativo che avrebbe dovuto familiarizzarlo alla cultura Genovese.
Invece no. Ma Nuti Giuseppe (detto Beppe) è uno dei tanti peraltro senza ruolo ufficiale; quindi il suo comportamento può essere considerato "colposo".
E fino a qui non mi sarei preso al briga di scrivere queste righe perché pestare l'acqua nel mortaio ...
O scciupón de fótta o m'è vegnûo quando ho visto 'sto post del Comune di Genova in cui viene augurata "Buona Pasquetta" (in basso a sinistra).
Ma andate a stra-affogarvi di cozze!!!
BALILLA NON MUORE MAI
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- Scritto da Pier Cristiano Torre
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BALILLA NON MUORE MAI
La comunicazione mi è arrivata oggi pomeriggio: Vincenzo Matteucci è morto.
Alla notizia di un amico che se ne va sempre si prova un sentimento di tristezza. In questo caso però la tristezza è compensata da una nota di fiducia. Vincenzo Matteucci nella sua vita di politico e di uomo pubblico ci ha dimostrato che si può andare oltre il possibile.
È stato con questa aspirazione nel cuore verso le sfide controcorrente che, alle elezioni politiche del 1992, Matteucci ha determinato la sconfitta di Guido Carli e Riccardo Garrone, due dei maggiori protagonisti dell’establishment italiano del tempo.
È stato con quella stessa consapevolezza che negli anni successivi Vincenzo ha continuato a cercare un passaggio libero attraverso cui Genova potesse giungere a confrontarsi con la consistenza della Storia.
In tutte queste sue azioni Vincenzo Matteucci rifletteva la forza di una identità che trovava il suo migliore emblema in Balilla, il ragazzo di Portoria il quale a ragione credeva che ad un genovese, in qualunque posto fosse, bastasse poter toccare il suo destino per scardinarlo.
In questa serie di rimandi operanti attraverso una estensione fantastica Vincenzo Matteucci è diventato effettivamente il Balilla.
E come qui a Genova si sa, Balilla non muore mai.
Pier Cristiano Torre
Notizia fresca dal sapore stantio…
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- Scritto da Caparbia Mente
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...per un’idea tarda.
Sembra passata un’era geologica da quando il Sindaco Bucci parlava di un volo diretto tra Genova e New York (novembre 2019) come segno di un nuovo ruolo della Città proiettata verso un futuro di successo.
Gli era chiaro non fosse una cosa semplice perché un'idea del genere deve essere supportata dalla richiesta del mercato legato non solo al turismo ma, soprattutto, al mondo dell'economia e della conoscenza.
In quella spinta di progresso e di recupero di un prestigioso ruolo per la Città deve essersi inceppato qualcosa se siamo arrivati al punto di proporre l'uso a fini abitativi dell'edificio della Lavanderia italia in Porto.
Ma fosse solo quello potremo pensare ad un inciampo "sulla via del Waterfront di Levante".
Invece no! L'appiattimento progettuale, l'ictus propositivo, trova ulteriore conferma dall'articolo pubblicato su "Il Secolo XIX" di oggi.
In 3° e 4° colonna si legge la dichiarazione di Falteri Davide, consigliere delegato dal sindaco Bucci ai nuovi insediamenti industriali, in cui sostiene che "La richiesta di Csm-Gmt invece è completa [N.d.R. rispetto a quella contemporanea di Cosco] e ben si inserisce nella nostra visione, che non è quella di contrapporre la logistica alla politica industriale siderurgica. ... [per la] crescita di una logistica qualificata.".
Ecco il progresso che viene prospettato a Cornigliano, al Ponente ed ai Genovesi giovani : containers, containers, containers.
Così progettando gli Amministratori locali credono di prospettare ai giovani un futuro appetibile, ricco di riconoscimenti professionali e soddisfazioni economiche? Pensano davvero di incentivarli a restare in questa miseranda città?
In questa landa pare sopravvivano solo individui incapaci di far arrivare agli amministratori il loro dissenso in modo fortissimo e chiarissimo.
Genova Superba? La festa della Bandiera? Questa città di zombi è destinata a diventare un fantasma geografico buono solo per stiparci containers, parcheggiarci TIR e fabbricare latta.
Volo Genova-New York?! Mi scappa da piangere.
Progettare un progetto: importanza dell’innovazione
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- Scritto da Luigi Tasso
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Quando si tratta di progettare il futuro di una operazione, sia partendo da una realtà esistente oppure partendo “ex novo” da una nuova situazione, una nuova area, il ruolo dell’innovazione è assai importante e va tenuto in conto.
Intendiamoci sul termine “innovazione”. Esso è simile a “invenzione” e si fa spesso confusione tra le due parole, ma no: sono due cose ben distinte.
Innovare, infatti, è “portare con successo sul mercato un’idea nuova e geniale”. Non è solo “sviluppare un’idea nuova e geniale” (un’invenzione), ma è anche “portarla con successo sul mercato”.
Inventare non basta: per innovare occorre anche che l’invenzione generi profitto.
Per intenderci: Meucci ha inventato il telefono, ma è Bell che si è intestato l’innovazione.
Bengt Järrehult ha dato questa definizione in un articolo di qualche tempo fa. Järrehult notava come in generale il mercato si sia evoluto. Se anni fa si cercava di fornire un prodotto o un servizio che “andasse bene per tutti” (fig. 1), ci si è poi spostati sempre più verso una polarizzazione.
Il prodotto “medio” diventa “mediocre”, e si preferiscono soluzioni più laterali nel campo di quelle esistenti (fig.2): o quelle a buon mercato, che soddisfano giusto lo stretto necessario, o quelle opposte, più costose ma di più alto valore.
Un esempio è nel campo degli elettrodomestici: Mondo Convenienza punta esplicitamente al punto basso della curva, mentre Miele, per esempio, offre soluzioni di alto prezzo, non per tutti, ma di altissime prestazioni.
E il prodotto “medio”? Quello che dovrebbe andar bene per tutti? Quelli che sono un po’ fatti “come li fanno gli altri”? Beh, non hanno più avuto successo e naturalmente scompaiono: non c’è più un posto per loro nella massa di soluzioni tutte che si assomigliano. Il mercato non distingue… e non premia… dove sono finiti Ignis, Rex, Ariston?
Questa è l’area della “commodity war”, della guerra dei numeri (fig. 3), dove il fornitore è costretto ad abbassare i prezzi per vendere.
Ma non basta, perché in questo mondo globalizzato, nel campo delle soluzioni medie/mediocri, ci sarà sempre qualcuno da qualche parte che riuscirà ad essere più a buon mercato con le stesse o simili prestazioni. Chi resta in quest’area è destinato ad essere strangolato dai due lati della curva: da un lato chi ha prezzi e prestazioni minori, ma ancora sufficienti, e dall’altro lato da chi propone il top.
A questo punto possiamo trarre un primo suggerimento per il progetto delle nostre operazioni. Dobbiamo decidere su quale lato della curva delle soluzioni esistenti ci vogliamo posizionare: buon mercato e prestazioni giusto sufficienti, o alto valore e alto prezzo?
Soprattutto, occorre evitare la posizione mediana/mediocre della guerra dei numeri: occorre evitare di fare le cose che hanno già fatto altri, nello stesso modo in cui lo hanno già fatto.
Certo, ogni situazione sul mercato gode di un suo progresso evolutivo, probabilmente in crescita fino alla maturità. Progresso evolutivo, miglioramento naturale che tocca tutta la linea dei prodotti esistenti. Per esempio, in questi ultimi anni, tutti hanno incrementato la loro visibilità e presenza sul mercato attraverso Internet. Non è qui che va ricercata la via per un nuovo progetto. Non basta il progresso.
Ci vuole innovazione.
Nello scenario descritto, per non limitarsi al generico progresso naturale, per sfuggire al rischio della guerra dei numeri, entra in gioco l’innovazione.
Mi ripeto: un’invenzione non è per forza un’innovazione. L’innovazione è infatti “il portare con successo sul mercato un’idea nuova e geniale”. Solo il mercato stabilisce se un’iniziativa è un’innovazione o no.
L’innovazione (fig. 4) sposta il mercato dalla linea delle soluzioni esistenti, e crea delle nuove posizioni ben differenziate.
Un tipo di innovazione può essere il modo per fornire la stessa prestazione a prezzi decisamente inferiori (A in figura), oppure può essere l’introduzione di soluzioni completamente nuove a cui il mercato riconosca un importante valore aggiunto (B), oppure, perché no, entrambe le cose (C).
Si può innovare perché si usano nuove tecnologie (per esempio l’automazione di un processo di produzione), e si parla di ritorni economici di un po’ di punti percentuali, o perché si riesce a piazzare meglio i nostri prodotti sul mercato (“Scavolini, la più amata dagli Italiani”), e qui i ritorni son di decine di punti percentuali, ma è soprattutto nel creare nuove soluzioni e nuovi mercati (“disruptive innovations”: l’introduzione del PC, o del telefono cellulare, o dei vaccini mRNA, ecc.) che crea ritorni economici davvero importanti, anche di centinaia o migliaia di volte l’investimento iniziale.
L’innovazione è dunque elemento strategico per ogni progetto che riguardi il futuro di una realtà esistente o “ex novo”, perché è così che si può avere successo, ricavare utili interessanti e creare posti di lavoro.
Certo, nel mondo reale che si muove l'innovazione oggi non lo sarà più nel futuro: “innovazione continua” è quello che si fa in importanti incubatori di ricerca, dove si lavora su idee originali e non ancora sperimentate, come il nostro IIT o l’istituto Max Planck in Germania o altri ancora. Essi generano uno spin-off di società che sfruttano poi queste innovazioni: società che hanno la loro vita, con entusiasmi e delusioni, crescite, alleanze, sparizioni, e che creano un vivace tessuto di mercato, alla larga dalla guerra dei numeri.
Innovare non è né semplice né immediato.
L’innovazione fatta bene richiede entusiasmo e perseveranza, richiede un ambiente fecondo di collegamenti e scambi culturali tra aziende e università, richiede finanziamenti spesso molto importanti, in parte anche a perdere. É un po’ una scommessa: non tutte le idee sono buone o realizzabili. Anzi. Si parla di 1-2 successi ogni 10 tentativi… Se un progetto non è buono occorre uscirne, ed è veramente difficile capire in quale momento farlo… Ma se il progetto è buono, tipicamente ripaga alla grande di tutti gli insuccessi.
Nell’industria, si ritiene che gli investimenti in ricerca e sviluppo debbano idealmente dividersi 80-90% per il “progresso” e 10-20% per l’”innovazione”.
La soluzione delle istanze interne ed esterne che si incontrano via via ogni giorno è progresso, la ricerca dei limiti di processo e produzione, ed il loro superamento, porta all’innovazione (fig. 5). Secondo B. Järrehult, “per chi pianifica il progresso occorre una mentalità da scacchista, per chi si cimenta con l’innovazione una mentalità da pokerista".
Chi è preposto all’innovazione deve:
1° : scegliere l’equipe giusta: persone che hanno cultura, visione e sanno lavorare in gruppo, condotte da dei Campioni e protette da un Custode ai massimi livelli.
2° : lasciare libere queste persone di focalizzarsi su cose esterne all’ambiente in cui operano, che non sifacciano distrarre dalle noie, magari anche urgenti, del quotidiano.
3° : occorre un ambiente che li ripari da un’eventuale atmosfera ostile, permettendo loro di
• dimenticare quello che ha fatto prosperare realtà madri o realtà simili
• avere a disposizione tutto quello che è necessario, senza preoccuparsi della burocrazia e dei costi organizzativi
• imparare giorno per giorno: il passato non aiuta granché.
Questo gruppo deve fornire un’idea del ritorno economico di quello che sta facendo, ma all’ingrosso: non ha senso chiedere delle previsioni dettagliate.”
Riassumendo: per chi vuole progettare il futuro di un’operazione esistente o creata “ex novo” occorrere scegliere e definire o ridefinire con oculatezza il mercato in cui si vuole stare, e puntare decisamente sull’innovazione.
L’innovazione, anche in senso astratto, può essere business.
Ricordo un vecchio pensiero sempre valido:
Se sei in un business,
o sei il primo della classe,
o ti batti per diventarlo,
o non c’è senso che tu resti lì.
Dunque esci, o ridefinisci il tuo business.
Nota della Redazione : l'Autore è ingegnere elettronico; ha lavorato per 40 anni, in Italia ed Europa, soprattutto nel settore dell’automazione dei processi di fabbricazione della carta.
Non è iscritto all'Associazione.
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