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- Scritto da M. Spinola
- Categoria: Costume e Società
Tre giorni fa, Agostino Petrillo, docente del Politecnico di Milano, in un bel saggio ripreso dal sito di informazione Genova 24, si poneva la domanda di quale futuro ci sia per il turismo dopo la setacciata imposta dal Coronavirus alla storia degli uomini e dei luoghi, .
Come ogni autentico acceleratore temporale il Covid-19 ha strapazzato l'età presente con tutti i suoi abitatori e messo in dubbio quella futura verso la quale, per inveterata abitudine, ponevamo una grande inerte fiducia.
Inerte nel senso, come ci pareva ovvio, che il domani fosse garantito. Migliore dell'oggi e molto più favorevole del passato; così, per consuetudine, per diritto, per privilegio. Invece il tempo non è mai un soggetto inerte. Cammina e non si ferma mai.
Petrillo coglie bene questo aspetto riferendolo al modello con il quale, in Italia, il turismo è stato pensato ed organizzato. Un sistema alternativo alla crisi dell'industria manifatturiera e delle città messo su senza avere alle spalle un progetto ben chiaro e definito. Con iniziative economicamente fragili e un indirizzo sociale precario incentrato, com'è, sul lavoro occasionale per non dire “in nero”.
Se spostiamo la lente dall'Italia alla Liguria si vedrà come il quadro non solo non cambi ma, se possibile, si faccia ancor più fosco.
Nella nostra regione il turismo ha sempre assolto a due funzioni: compensare il cronico deficit dei conti con l'estero ed alimentare le casse dei Comuni rivieraschi sostanzialmente privi di progettazioni circa l'efficiente gestione del territorio.
Così ne è nato un sistema per lo più organizzato in fretta, con scarsa o nessuna professionalità, orientato verso lo sfruttamento grossolano del territorio e della massa dei possibili fruitori provenienti in gran parte dalle aree urbane vicine.
Operatori improvvisati che passavano dall'officina alla cucina, dalle fasce alla battigia, con la stessa disinvoltura con la quale turisti non particolarmente abbienti e consapevoli, per cui scarsamente interessati all'idea complessa di “luogo” verso il quale soggiornare, finivano per comprare delle seconde case edificate in modo tale da replicare quelle stesse periferie urbane dalle quali provenivano.
Allora è utile ricordare come le iniziative imprenditoriali del settore, specie quelle strettamente balneari, siano state gestite con molto “nero” pur in presenza di canoni di occupazione demaniale risibili.
O come molti esercizi di ristorazione, con la scusa dell'ambientazione storica, siano stati allestiti e condotti in locali fatiscenti, privi di qualsivoglia concetto di decenza. Eppure la questione è andata avanti così per decenni nell'indifferenza dell'Ente Regione e dei Comuni che mai hanno tentato di riformare il settore orientandolo verso un livello di maggiore qualità [1].
Come avviene in Francia, dove il turismo ha sempre fatto numeri enormemente superiori [2] rispetto a quello nostrano pur essendo all'insegna del: per tanti ma non per tutti. Laddove lo spazio privatizzato è assai minore rispetto a quello ligure ma di maggiore qualità; mentre le parti ad uso pubblico, benché maggiori, comportano comunque il pagamento di un piccolo sovrapprezzo. Si paga poco ma si paga tutto. Perché mantenere il territorio ha un costo.
Adesso, come dice Petrillo, i nodi vengono al pettine. La seminata imposta dal Coronavirus prima di tutto mette la Liguria del turismo e l'intero gruppo politico locale di fronte alle proprie responsabilità. Nessuno può seriamente pensare che il recentissimo passato si ripresenti sotto forma di futuro. Tanto meno si può credere che un settore incerto fondato su personale a “nero”, elusione fiscale, professionalità improvvisata abbia una funzione nel mondo che è appena cominciato.
Recenti indagini hanno dimostrato il tipo di ruolo che dovranno svolgere i servizi turistici di domani. Saranno dominanti qualità, professionalità, trasparenza fiscale, innovazione e denaro. Quello dei possibili clienti.
Da questo ne deriva che il modello passatista del "tanto al chilo" [3] non solo non pagherà ma addirittura respingerà quella parte di utenza residua che, disposta a spendere, in cambio vorrà di più di un generico qualcosa.
Siamo ad un tornante epocale.
Liguria, anno zero!
È ora che i dormienti si sveglino.
Difatti, giunti a questo punto, è inutile rammentare che se non ci sarà una forte volontà politica per cambiare le cose attorno ad un progetto serio e di lunghissimo respiro l'intera questione socio-economica -non solo turistica- finirà in un disastro.
Precauzionalmente sarà il caso di cominciare a pensare di fare in proprio. Magari dando vita ad una corrente di opinione alternativa.
Se non basterà, bisognerà estenderne l'azione fino a dargli i tratti di un vero e proprio movimento politico.
Viste le premesse, credo proprio che sarà il caso.
[1] È notorio come nella provincia di La Spezia, nonostante la richiesta e la possibilità, la Regione Liguria abbia sempre ostacolato la realizzazione di porticcioli per utenti con un reddito annuo attorno ai 400.000 € per imporre alle comunità locali un turismo basato sui campeggi. Dato che, da qualche parte in Liguria, pure bisognava garantire uno sbocco a quel tipo di utenza!
[2] Nizza da sola fa, nonostante gli effetti nefasti dell'incubo terrorismo, ancora più del doppio dei turisti della Liguria tutta e non è distante dai numeri di Roma. Papa compreso.
[3] Tempo fa, un noto ristoratore di Lavagna, diceva come gli fosse necessario tenere i prezzi attorno al limite dei 25€ a persona per fare il pienone. Nessuno dei suoi clienti infatti si poneva la domanda di che cosa ottenesse in cambio di quel prezzo.
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- Scritto da Baciccio
- Categoria: Costume e Società
Occhio non vede, cuore non duole. Una semplice espressione popolare che dà voce al nostro vissuto.
Se una cosa per noi preoccupante non si vede è verosimile riuscire a non provarne timore.
Questa, in due righe, potrebbe essere la chiave di lettura alla base del modo adottato dalla Protezione Civile per conteggiare il numero giornaliero di soggetti positivi al Coronavirus.
Difatti l'incremento dei nuovi contagiati viene solitamente comunicato non facendo riferimento a quanti, in quella data giornata, sono risultati per la prima volta affetti dal virus ma depurando da tale valore il numero dei guariti e dei deceduti. Come se le persone comprese in questi due ultimi gruppi facessero tutte parte dei nuovi pazienti appena posti in terapia. Invece logica vorrebbe che si facessero conteggi distinti con conseguenti dichiarazioni sullo stato dei fatti.
Come detto, questa scelta forse trova un principio nel senso tracciato dall'antico detto popolare. Tuttavia se praticata nel tempo potrebbe portare ad una contraddizione dall'esito imprevedibile.
Quando, fra poco, il numero dei guariti sarà più alto di quello dei nuovi contagiati si potrebbe arrivare al paradosso di un valore dichiarato di nuovi contagiati prossimo allo zero, pur in presenza di migliaia di nuovi casi effettivi. Estremizzando, si potrebbe pensare che questo porti al sollevamento delle misure di “lockdown” anche se nella realtà i nuovi contagiati giornalieri sono tanti quanti quelli che all'inizio della storia hanno motivato le stesse condizioni restrittive.
Ma, senza arrivare a tanto, potrebbe innescare nei cittadini un ingiustificato senso di sicurezza tale da portare a comportamenti dannosi per l'intera comunità.
Sull'aspetto della ricaduta, non sempre positiva, delle comunicazioni ufficiali verso i cittadini sembra distinguersi la Regione Liguria.
Andando a vedere i dati diffusi giornalmente si nota come la Regione sottragga dai nuovi casi di ogni giorno i numeri dei guariti e dei morti, riducendo così drasticamente l'impatto del Coronavirus su scala locale.
Una pratica messa in atto forse per le stesse ragioni di cui sopra: tranquillizzare la popolazione. Salvo poi lamentarsi se la stessa si ammassa nelle vie commerciali o tenta la strada di un'uscita in spiaggia o in collina.
Per fortuna i dati presenti sul sito della mappa nazionale, alla voce situazione per regione e per provincia, sono molto diversi e descrivono la realtà per quello che è.
Però non si può fare a meno di notare il caso.
Nelle crisi molto gravi la soluzione migliore è sempre quella di dire la verità. Certamente senza allarmismi e di sicuro senza infingimenti.
Perché prima o poi il Coronavirus passerà e, qui in Liguria, si voterà. Magari entro la fine di quest'anno.
Intanto, voi che leggete, siate prudenti.
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- Scritto da Marco Vitruvio Pollione
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È crollato un ponte al confine tra Liguria e Toscana, vicino ad Albiano Magra (Massa Carrara), lungo una strada che va dalla bassa Val di Vara alla Val di Magra.Si tratta di un ponte con varie campate di altezza limitata rispetto al terreno sottostante complessivamente pianeggiante; questo ha contenuto i danni delle due persone coinvolte.
Dall’Ansa si apprende che la presenza di una crepa dell'asfalto aveva indotto i tecnici Anas ad effettuare controlli avvenuti lo scorso 3 novembre. In seguito al controllo era stato dichiarato che non sussistevano "condizioni di pericolosità”.
Viene spontaneo un confronto tra il crollo del Ponte Morandi e questo sul Magra. Le entità dei danni sono evidentemente diverse ma qualcosa pare accomunare i due eventi: i controlli.
Nel primo i controlli (oppure i non-controlli) sono stati orientati al maggior profitto di un’azienda privata e pare che gli apparati statali addetti abbiano effettuato verifiche non stringenti sulle relazioni fornite da Autostrade per l’Italia, ma nel secondo cosa ha determinato la qualità del controllo?
ANAS è un’azienda pubblica che dovrebbe essere ispirata ad un’efficienza non condizionata (o, almeno, non completamente condizionata) dal profitto ; allora come mai un risultato analogo (evidentemente non simile) a quello dell’altra azienda ispirata dal profitto?
Sarà mica che i duei eventi siano accomunati dall’italian style?
In un caso i profitti (e qualcosa d’altro?) , nell’altro le competenze affidate con criteri particolari di selezione e verifica ?
L’obiettivo che intendiamo realizzare per la nostra Terra passerà anche per un sistema che dia riconoscimenti a chi si impegna e "non-riconoscimenti" per coloro che non si sono impegnati.
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- Scritto da Montaguy Spinola
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Oggi, in una situazione difficile com'è quella segnata dall'epidemia di Coronavirus, molti pensieri ricchi di dubbi si affollano alla mente. Molte reazioni emergono confusamente, magari togliendo energia. Molte tendenze transitano dalla memoria del passato all'esperienza quotidiana in cerca di appartenenza. Questo stato di indecisione, pur con tutti i suoi limiti emotivi e psicologici, una qualità ce l'ha: aumenta il livello di sensibilità individuale permettendoci di scoprire un po' di più su noi stessi.
Per esempio, osservando come i vari Paesi reagiscono al contagio, si vede come la cultura, intesa come sedimento, sostrato autobiografico, sul quale si innestano comportamenti e attitudini, giochi un ruolo determinante a livello di risposta politica e comportamenti sociali.
Culture incentrate sul senso del dovere, sulla responsabilità individuale come fondamento di quella collettiva, sul senso di appartenenza ad un gruppo, agito e non solamente raccontato, risponderanno con forza, efficienza e coesione.
Altre, incentrate su un senso di appartenenza ad un gruppo raccontato ma non agito, su un individualismo spicciolo occhieggiante ad un collettivismo di maniera, sempre alla ricerca di diritti da esercitare e da doveri da disertare, risponderanno male. Con sofferenza, smarrimento, ritardata efficacia. Con un'implicazione in più. La sofferenza ed il senso di soffocamento che può prendere alla gola chi, vivendo in un contesto come quello appena più sopra descritto, appunto per cultura e tradizione non vi si riconosce appieno privilegiando sempre la responsabilità individuale ed il senso del dovere.
È una sensazione molto spiacevole. Perché già si sa che un parte del pericolo verrà dal prossimo. Il prossimo è quello adiacente; quello che adesso dovrebbe fare il suo dovere ed invece si fa i fatti suoi magari contravvenendo ai divieti, vendendo le mascherine sottobanco, privilegiando artisti, calciatori e chissà chi altro rispetto ai sanitari che lottano in prima fila. Ma non solo.
Il prossimo è anche il principio di coerenza incoerente che attraversa tutta questa nostra strana società la quale, anziché mettere ai posti di comando -quali che siano- i più preparati, ci piazza i “belli da TV”. Eroi dei talk show, primatisti del sorriso accattivante, campioni delle conferenze stampa.
Naturalmente non sempre è così, ma troppo spesso sì.
Una delle conseguenze di questa complicazione è che il Paese invece di affrontare i problemi dall'inizio e cercare di ricostruirli e risolverli nella loro complessità tende ad affrontarli a singoli pezzi assegnandone uno a ciascuno con la speranza che si incastri con gli altri. Separando in questo modo, con i pezzi della realtà, anche le forze atte a cambiarla. Così, per i moltissimi che si battono generosamente, ci sarà sempre qualcuno che starà a guardare o si metterà in mezzo.
È sempre stato così, non è questione di adesso. Ma nei momenti decisivi, essere sostenuti da un certo tipo di cultura o da un'altra, pesa. Tremendamente.
Dio ci aiuti.
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- Scritto da Pierluigi Patri
- Categoria: Costume e Società
L’epidemia di coronavirus ha fornito una lampante immagine delle contraddizioni della società italiana
Vado a memoria nella sequenza degli eventi ma penso di essere piuttosto fedele a quanto è successo e sta succedendo.
Grosso modo l’interessante esperimento social-virologico comincia tra fine gennaio ed inizio febbraio quando i Presidenti di Lombardia, Veneto e Friuli vorrebbero impedire la riammissione a scuola degli studenti cinesi che stanno ritornano. Prontamente lo Stato italiano nella persona del Presidente del consiglio dei ministri boccia l’idea invitando quei Presidenti a fidarsi degli esperti tanto che il Ministero della salute dà il via libera per il ritorno a scuola di chi è stato recentemente in Cina.
Intorno al 20 febbraio il Presidente della Toscana si inserisce nella diatriba dichiarando che le iniziative assunte in Toscana erano "... in linea con quando disposto dal ministero ..." e le critiche potevano essere dovute a disinformazione o malafede od a propaganda fascioleghista. Gli fa eco l'assessore toscano al diritto alla salute -Stefania Saccardi- precisando che non spetta alla regione decidere sull'adozione della quarantena (più sotto si vedrà che da altre parti le cose sono andate diversamente).
Intanto il tempo passa ed il Governo italiano arriva ad istituire le zone rosse in cui gli abitanti sarebbero dovuti restare disciplinatamente confinati salvo qualche gita nelle Regioni limitrofe per andare a sciare o godersi il mare.
Successivamente arriva una stretta ulteriore, preceduta da fuga di notizie, relativa all'argamento delle zone rosse associato ai conseguenti, ed italianamente rigorosi, limiti agli spostamenti (che, se non ricordo male, ha indotto il Presidente del Veneto a lamentarsi per le "eccessive" misure).
Ed italianamente cosa è successo? Massiccio esodo di vacanzieri verso le Riviere.
Ma non è il caso di preoccuparsi perchè costoro potranno far rientro alle proprie residenze (magari dopo aver lasciato un po' di coronavirus in Liguria).
Ora la tardiva decisione di dichiarare zona rossa tutta la penisola con limiti categorici (quanto?) agli spostamenti.
È interessante rilevare che i Presidenti delle regioni meridionali hanno istituito di loro iniziativa la quarantena per i meridionali, e non solo, che provengono dal settentrione.
Ma l'assessore toscano di cui sopra non aveva sostenuto che istituire la quarantena esulasse dalle competenze regionali?
E a proposito delle lamentele sulle limitazioni delle attività il Sindaco di Bergamo, Gori, fa osservare che la consueta limitazione alle attività nel periodo estivo non ha mai provocato problemi.
Per concludere.
I governanti hanno preso decisioni a pezzettini inseguendo la diffusione anzichè prevenirla (con provvedimenti "esagerati").
Tra i politici in sottordine si sono visti quelli che chiedevano misure di contenimento e quelli che organizzavano aperitivi contro la paura (ed uno di quelli è successivamente risultato positivo alla ricerca del virus).
Gli italiani tutti hanno dato pronta e coerente risposta andando massicciamente al mare, in montagna ed in luoghi di assembramento: Italia una ed indivisibile.