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- Scritto da Pierluigi Patri
- Categoria: Costume e Società
“A 15 anni è stata vittima di uno stupro in un hotel di Berlino, dove si trovava in gita scolastica con la sua classe. Ma invece di essere rincuorata e aiutata è stata punita…”. [la notizia]
Punita? Ma che insegnati disumani!
Ragionamento ineluttabilmente italiano.
Con questa considerazione non intendo sostenere che sia stata un’esperienza superabile senza difficoltà ma voglio evidenziare che il pietismo italiano porta a difendere la vittima senza considerarne le responsabilità.
In Francia, evidentemente, le cose funzionano in modo diverso : la studentessa ha trasgredito le disposizioni (divieto di uscire dalla camera dopo le 22 e di consumare alcolici) quindi va punita. Che le sia successo quello che le è capitato non costituisce un’attenuante chè, se avesse rispettato il regolamento, non sarebbe andata incontro alla disavventura.
L’interpretazione italiana, invece, trasuda “umanità”.
La stessa “umanità” che ha ispirato leggi che impediscono la carcerazione dopo una certa età o che non contemplano la volontarietà dell’omicidio per chi ammazza guidando in stato di ebbrezza.
Ma questo perché ci stupisce?
Se pensiamo da dove è nata la Repubblica italiana ci appare tutto un po’ meno misterioso.
La trasformazione da monarchia a repubblica non ne ha modificato la “genetica” un po’ corrotta (nel senso di guasta anche se la corruzione intesa come compra-vendita di favori ne costituisce una diffusa caratteristica).
E la “genetica” savoiarda non è mica cosa da niente.
La ragion di Stato può costringere a comportamenti cinici e, probabilmente, nessuna nazione ne è stata e ne è immune ma il sistematico tradimento della parola data è caratteristica connaturata alla famiglia di cui sopra.
D’altra parte se quelli dalla Francia sono finiti al di qua delle Alpi un motivo ci sarà pure; che siano stati i Francesi ad imbelinarli oltre lo spartiacque o che i “nostri eroi” siano scappati dalla Francia non so dire.
Fatto sta che quei generini ce li siamo trovati tra i piedi.
La parola data cioè il rispetto di una regola, appunto.
Prima Guerra mondiale. Cosa fanno i “nostri eroi”? Aspettano un anno per entrare in guerra e quando lo fanno si alleano con gli ex-nemici combattendo contro gli ex alleati.
Perfettamente italiano.
Non soddisfatti ripetono l’exploit héroïque durante la Seconda Guerra mondiale con la tragica ed imperdonabile aggravante di farlo in corso d’opera. Non solo.
Il re sciaboletta (così definito per la bassezza) scappa nottetempo per passare al nemico, ormai ex-nemico diventato amico.
In seguito ad episodi di rifiuto a combattere manifestatisi tra i soldati nella Prima Guerra mondiale il generale Cadorna, in un suo telegramma del maggio 1916 inviato ad alti ufficiali, scriveva: « …fatti oltremodo vergognosi, indegni di un esercito che abbia il culto dell'onore militare. … L'E.V. prenda le più energiche ed estreme misure: faccia fucilare se occorre, immediatamente e senza alcun provvedimento, i colpevoli di così enormi scandali... ».
Allora perché il “nostro eroe”, definito anche "Re soldato", in quanto soldato che fugge davanti al nemico non è stato fucilato?
Perché … poverino, perché … una giustificazione la si trova sempre.
Perché … , perché….
Ce n'è sempre uno di motivo per dire poverino.
Ed eccoci tornati all’inizio.
Senso di responsabilità : dato disperso ; rispetto delle regole: dato sconosciuto.
Ed il cerchio si è italianamente chiuso.
Da qui noi partiamo per ricostruire un’etica consona alla nostra Terra.
E con la nostra azione culturale intendiamo ripristinare nella nostra Gente questi due cardini della convivenza civile.
Sarà impresa faticosissima poiché il modo di fare italiano è peggiore dell’umidità che una volta infiltrata lascia i segni per molto tempo.
Potremo, però, contare su linee guida efficaci perché di immediata e pratica, praticissima, applicazione.
Una persona non usa la cintura di sicurezza quando viaggia in auto o non indossa il casco quando guida la moto?
Molto bene.
In caso di incidente le spese per le cure saranno a suo totale carico per non pesare su coloro che rispettano le regole e versano soldi nelle casse della Comunità.
Ma quando avrà finito i soldi? Affari suoi.
Come per la studentessa espulsa : rispettare le regole!
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- Scritto da Pier Cristiano Torre
- Categoria: Costume e Società
25 dicembre 2006, l’ANSA batte: Genova, nella notte fra il 24 ed il 25 dicembre si è spento Rocco Agostino manager di molti campioni di boxe.
L’ultima volta che ho incontrato Rocco Agostino è stato nel giugno di due anni fa. Ero andato a trovarlo per comunicargli che il massimo Forum pugilistico americano gli avrebbe assegnato un premio alla carriera dedicandolo al “Unforgettable Rocco Agostino”. I suoi occhi si fecero penetranti come ai bei tempi; conversava con flemma mantenendo il gusto per quella battuta fulminante che tanto spesso era stata la sua bandiera. Ultima concessione del grande procuratore che aveva deciso di uscire dalla storia della boxe per ritirarsi in quella degli uomini. Piccoli uomini che ci tenevano a fargli sapere che grazie a lui avevano vissuto dei momenti memorabili. Indimenticabili, appunto, come il singolare personaggio del vecchio manager.
Agostino, nato a San Pier d’Arena ( Ge) nel giugno del ’31 da padre napoletano, cumulava in sé le estreme particolarità dei due caratteri regionali. Diffidente e taciturno quanto un ligure, ironico e pungente quanto un campano, trattava le sue faccende con profonda onestà; una volta preso un accordo lo rispettava senza mai cercare di metterlo in dubbio. Un tale rigore si rifletteva sia nei rapporti con i suoi pugili che con tutti coloro con i quali intratteneva relazioni. Questa fu la ragione determinante che a suo tempo lo portò a concludere il contratto con Bruno Arcari, il più grande campione di pugilato che l'Italia abbia mai avuto, e la Fernet Branca.
Alla serietà ed alla semplicità Rocco Agostino univa una competenza senza dubbi. Riflesso della sua matrice ligure, pratica fino alla durezza, lavorava con tenacia, obbligando i suoi pugili ad un regime di allenamento intensivo che richiedeva le più grandi qualità di resistenza e delle condizioni fisiche straripanti. Questo accendeva la scintilla dell’emozione fra i cronisti, facendoli tornare indietro nei loro resoconti all’antica scuola dei gladiatori di Roma. Evocato in questa maniera il suo prestigio resterà legato per sempre a questo rigore. Però, se lo si osserva da un’altra angolazione, quella che faceva referenza alla raffinatezza dell’animo partenopeo, si scopre un uomo moderato che, ai grossi problemi posti dalla gestione di un’impresa sportiva ai massimi livelli, sapeva rispondere stabilendo relazioni profonde e durevoli con tutti quei soggetti suscettibili di prendere in conto le motivazioni e gli obiettivi del suo lavoro. Non si viveva impunemente nel mondo del pugilato. Il successo passava anche per il consenso e il consenso andava cercato e conquistato.
Attento conoscitore dell’ambiente pugilistico, Agostino ha saputo imporsi svolgendo un ruolo importantissimo; non solo per l’attività pugilistica professionistica di alto livello ma anche per aver precorso di anni delle strategie che, in seguito, si sarebbero affermate tanto da diventare oggi norme statutarie e regolamenti per la F. P. I..
Si trattava, cioè, della gestione diretta da parte delle società dilettantistiche dei propri pugili passati al professionismo.
In altri termini:farsi da sé e darsi da fare.
Un modello esemplare per chi accetta di ricercare forme di autoaffermazione in attività meno sicure di quelle ordinarie ma maggiormente in grado di far emergere le proprie capacità.
Un modelllo esemplare del quale Rocco Agostino ha incarnato il senso, agli occhi di tutti.
Con gratitudine. Unforgettable Rocco Agostino.
* [ da World Boxing 26 dicembre 2006 ]