- Dettagli
- Scritto da Pierluigi Patri
- Categoria: Cultura
È un piatto tradizionale di Riva Trigoso.
Visti gli ingredienti usati immagino sia stato inventato dai pescatori o marinai, cioè gente che in mare ci stava di lungo navigando a bordo di pescherecci e leudi.
Spero che non siano pochi a conoscerlo, almeno di nome, ma è molto probabile che molti di meno lo abbiano mangiato anche perché non c’è verso di trovarlo nei ristoranti, trattorie o ostaie.
Come il Pesto dovrebbe, secondo me, essere un segno distintivo della nostra cucina e non capisco perché non venga offerto nei menù; è un piatto semplice ed economico (va be’ , dipende da quanto vengono le acciughe) e la preparazione è relativamente veloce.
Forse dipende da ... non lo so. Ma se penso che a Pieve Ligure fanno la sagra della paella e della sangria mi viene da pensare che ... semmo ’na manega de scemmi.
Io sono riuscito a mangiarlo un soddisfacente numero di volte grazie ad un mia cugina (Grazia), ad un amico (Pier Cristiano, veramente è sua moglie che lo prepara) e a me stesso.
Su internet e sui libri di cucina (non moltissimi) trovate la ricetta ma, visto che siamo in tema, la riporto tenuto presente che sono possibili leggere, leggerissime, variazioni.
Allora facciamo conto di essere in quattro, dipende da quanto mangiamo ma potremmo fare:
- 1 kg di acciughe
- ½ kg di pomodori (belli maturi e succosi)
- 1 cipolla (ma anche 2, dipende da come sono grosse e se vi ce ne piace un po’ di più o un po’ di meno. Va ben, fate voi)
- 1 carota (io non ce la metto)
- Aglio (anche qui dipende dai gusti, comunque un po’ ci vuole)
- Sapori, se volete metterceli, li scegliete voi ; stesso discorso per i capperi (io ce li metto)
- Vino bianco delle nostre parti (che per non sprecarne è lo stesso che poi si beve mangiando il bagnon ); ma per tener brodoso il Bagnon potete usare anche il brodo di pesce (se il giorno prima vi siete fatti il pesce bollito o avete deciso di prepararvelo per il giorno dopo, altrimenti non ne vale la pena) oppure un brodo fatto con cipolle, carote e un po’ di sedano
- Olio di olive delle nostre parti (costa un po’ di più … ma fa lo stesso)
- Sale (io non ce ne metto)
Cominciamo a lavorare.
- Puliamo le acciughe (mi me e fasso mondâ da-o pesciâ, lê o fâ ciù fito che mi e mi no me ronpo o beretin)
- Tritiamo la cipolla, la carota e gli altri sapori per chi ce li mettete , i pomodori (se volete gli togliete la pelle sedunque no; non buttate via la loro acqua perché ci serve per contribuire a tenere brodoso il bagnon)
- Se volete tritate anche 7-8 acciughe (che daranno al soffritto il sapore del mare)
- L'aglio lo lascio intero perché se finisce nel mio piatto lo tolgo, coscì no me spussa o sciòu
In un tegame (sarebbe bello quello di terracotta ma la roba ci si attacca che è un dispiacere) ci si mente un po’ di olio e ci si fa soffriggere quello che abbiamo tritato (ma non i pomodori) e l’aglio. Viene bene aggiungerci un bicchiere di vino (ma un po’ per volta).
Quando siamo al punto giusto ci mettiamo i pomodori e facciamo cuocere ad occhio, diciamo mezz’ora.
Per mantenere brodoso ci aggiungiamo, quando serve, un po’ di brodo a piccoli mestoli; se proprio non ne abbiamo usiamo il vino o acqua calda (magari, per risparmiare un po’ si può fare metà e metà). A dirla tutta non credo che i pescatori o i marinai “sprecassero” così il vino.
A questo punto ci mettiamo le acciughe ed andiamo avanti con la cottura. Si giudica ad occhio (assaggiare è meglio) ma una decina di minuti dovrebbero andare bene. Ricordamoci di mantenere un po’ brodoso perché nella fondina ci dobbiamo mettere la galletta del marinaio meglio se spezzata (se non ne abbiamo o pan pöso o va ben pægio) che si ammorbidisce assorbendo il liquido.
Mettete in conto che sarà difficile che alla prima venga perfetto, bisogna provare qualche volta prima di prenderci la mano.
Da bere vi faccio sceglie tra : Bianchetta, Cortese, Lumassina, Pigato, Vermentino.
Belin, de scrive sta riçetta me vegnuo coæ de bagnon!
Bon prô o ve fasse
- Dettagli
- Scritto da Peter Beffroy
- Categoria: Cultura
Tenendo conto del senso dell’ironia di parecchi fra i lettori è probabile che troveranno in questo racconto molta parte di verità.
Sabato 20 luglio 2013 sui Quotidiani nazionali infuria la polemica; stranamente non si tratta della solita, immancabile, disputa solleonesca a base di tette al vento e culi all’aria, secondo l’antico motto italico per cui “Panza chiena nun penza a guaie”.
No. La questione, pur rimandando sempre il tutto ad un livello di rappresentazione collegato ai particolari anatomici, la pancia, si pone agli antipodi della visione caricaturale consacrata poco sopra dall’arguzia napoletana: il fisco. Il nemico più segreto ed intimamente nocivo degli italiani.
Nell’universo balneare intorpidito dal calore e nelle strade cittadine un po’ meno animate del solito la notizia rimbalza con i contrasti che porta con sé.
A Milano, gli stilisti Dolce e Gabbana sono stati condannati a un anno e otto mesi per evasione fiscale. Dopo che i giornali hanno ripreso e diffuso la notizia con titoli scandalistici ed il “j’accuse” lanciato verso di loro dall’assessore alle attività produttive del Comune di Milano, gli Stilisti, per protestare contro l’atteggiamento della stampa e del Comune, visti anche come contrari ai progressi industriali e commerciali del miglior Made in Italy, hanno dato vita ad una clamorosa messinscena alla voce: “Comune di Milano fate schifo!”; chiudere per tre giorni tutte le attività del Marchio nella città di Milano e, per massima rappresaglia, ivi compresi le edicole di via della Spiga, il Martini Bar, il barbiere ed il ristorante in via Risorgimento!
Che ciascuno trovi qui la sua sanzione!
Una conclusione in forma di tragedia.
Con effetto straordinario il grido di dolore dei Due: la stampa ha sbagliato, il Comune è cattivo! è diventato un mezzo inno patriottico. Vox Populi, Vox Dei. Ecco il proverbio più veritiero, ripetuto come un ritornello a cominciare dal Presidente della Regione Lombardia, pronto a promettere spazio agli Stilisti per le prossime future sfilate, al quale subito dopo si sono uniti per chiedere clemenza l’immancabile Flavio Briatore e trenta milioni di “Sine”.
Sina, diminutivo di Sinopia, è una mia amica. Bravissima persona. Tuttavia, nei suoi comportamenti abituali improntati ad un certo automatismo commercial-gossipparo, rivela i valori fondamentali di gran parte dell’italica società contemporanea dove non c’è primato senza dubbio, non c’è riuscita senza sospetto, non c’è sconfitta senza vittimismo, non c’è giustizia senza congiura, non c’è realtà senza rituale.
In lei, le macchine e gli uomini, il razionale e l’emozionale, il progresso tecnologico ed i desideri arcaici, si trasformano in simboli della civiltà consumistica ed in organi di una realtà che ha senso solo se trasformata in spettacolo.
Allora, la vacanza ha senso solo se si fa in uno di quei posti detti, à la page, nei quali i moli degli imbarcaderi, le terrazze dei bar, le stradine del centro storico, non si possono dimenticare perché sono la prova provata del di lì avvenuto passaggio di un qualche rappresentante del jet-set.
La gita in barca ha significato solo se, mentre sei da solo nel bel mezzo del mare aperto, rischi di essere triturato da uno yacht, che manco ti ha preso in considerazione, epperò vuoi mettere quale yacht se non quello di un noto attore o stilista.
La vista di un magnifico tramonto sulla spiaggia vale solo se, nel bel mezzo di un quadro vivente, il paesaggio scompare e tu rischi di annegare per l’onda lunga causati dal passaggio sottocosta dell’immancabile nave da crociera.
Sina, dunque, non è altro che la metafora di una legge del genere, quello dell’italico abitante il quale esprime le qualità proprie all’universo culturale al quale partecipa.
Una metafora che, tanto per non distaccarsi dagli esempi forniti, già un anno e mezzo fa era stata raggiunta e, purtroppo, tragicamente superata dalla realtà stessa.
Il sorpasso è avvenuto nel gennaio 2012 quando una nave della Costa Crociere è naufragata davanti all’isola del Giglio.
Allora, la versione leggendaria del simbolismo commercial-spettacolare passava, come sempre in ossequio alla Vox Populi, davanti ad uno dei più bei paesaggi d’Italia. Passava, stretta idealmente tra due ali di folla, con in prima fila oltre alle immancabili “Sine” anche alcuni dirigenti di quella comunità, che fino a qualche giorno prima del fattaccio avrebbe ripudiato chiunque fosse stato contrario alla “cerimonia dell’inchino”.
Come minimo sospettandolo di intelligence con qualche località turistica concorrente.
Poi, la Costa Crociere ha fatto crash ed i svariati milioni di “Sine” che popolano la penisola hanno fatto Oooh! Passando in un attimo dal ruolo di superficiali spettatori-attori a quello di vittime, martiri e salvatori della comunità isolana e della natura oltraggiate.
Eccolo il mormorio il quale sarebbe stato caro ad Alessandro Manzoni per accompagnare nella sua opera la sfilata di figure discutibili, disposizioni alla corruzione o tradizioni all’imbroglio.
Forse per scaramanzia oggi a quello stesso mormorio colto dalla retorica si affidano gli indagati del disastro per chiedere clemenza.
Non so dire se questo canto porterà fortuna ai sospettati. So però che in questo anno e mezzo gli italiani, Sina compresa, hanno provato tutta la gamma delle emozioni possibili. Perciò credevo fossero riusciti a scrollarsi di dosso la caratteristica strutturale della legge del genere. La comunione fra spettatori e protagonisti.
Invece, la trama semantica profonda di questa legge, a somiglianza dei grandi generi di rappresentazione scenica che tanto affascinano la Sina ed i diversi milioni di suoi consimili, è ancora rispettata fedelmente.
Di fronte alla reazione clamorosa di Dolce e Gabbana, i quali naturalmente hanno tutto il diritto di rispondere come meglio credono a sentenze ed iniziative che giudicano lesive dei loro diritti e della loro rispettabilità, le “Sine” nostrane, anziché guardare la vicenda con un certo distacco, prima si sono stupite, poi si sono interrogate, quindi hanno protestato in nome e per conto di una pretesa neutralità.
Tu pensi che la neutralità della Sina sia quella di chi vuole difendere il guadagno - la legittima ricompensa per qualunque impresa che abbia come armatura il lavoro, il merito, la passione - dalla rapacità interessata dello Stato sprecone. Invece no.
La Sina è sempre perfettamente convinta che il principio di neutralità debba comunque fornire un terreno di scelta al simulacro ed alla dissimulazione.
Dopo tutto, le difficoltà cominciano perché siamo sempre vittime di sfortune e di ingiustizie.
Spazio dunque al dramma, allo spettacolo ed alla Sina.
- Dettagli
- Scritto da La Redazione
- Categoria: Storia e geografia
Sino ad oggi era il "ponte di quota 40"; nome anonimo e freddamente descrittivo per la struttura che a San Pier d'Arena collega corso Magellano a via Gian Battista Monti.
La Giunta Comunale ha deliberato (finalmente) di intitolarlo al Professore Giovanni "Gianni" Rebora -Genovese di San Pier d'Arena- che ha abitato in un civico prossimo al ponte.
Lo riteniamo doveroso riconoscimento ad un Uomo e Docente dell'Università di Genova che si è sempre distinto per la grande cultura, lo spirito aperto, la capacità critica e l'affabilità con cui affrontava e divulgava gli argomenti trattati.
La Sua morte ha rappresentato per tutti noi una grossa perdita ma il Suo ricordo è intatto e Gli siamo riconoscenti per quanto ci ha trasmesso col Suo modo elegantemente scanzonato di rapportarsi, distante da qualsiasi altezzoso atteggiamento accademico.
Grazie di tutto, Sciô Profesô.
P.S. la delibera del Comune è giunta a buon fine dopo un lungo ed impegnativo percorso burocratico, intrapreso e tenacemente perseguito da Filippo Noceti.
- Dettagli
- Scritto da Gianfilippo Noceti
- Categoria: Storia e geografia
Campioni d'Europa! Si, si …campioni! Tristemente, Gianfranco Dell'Oro Bussetti che ci mostra questa bella e significativa foto che porta le stigmate di una Valpolcevera Svalpolceverizzata e riempita di tutto un po’, bisogna dire che se fosse stato fatto il raddoppio, molto probabilmente non saremmo qui a piangere le vittime. Ma, ancora più triste, sarebbe considerare che questo fatto potrebbe essere un punto a favore – casomai esistesse un punto a favore! - della difesa di chi ha causato quel disastro. E così non si può almeno non immaginare che la gestione di “quelle cose lì” così complesse e costose, in una Città ed in una Regione attraverso le quali è maturata quella Storia di Grandezza che ha affascinato il mondo e che deriva proprio da questa posizione geografica utile ed anzi “oggi” addirittura indispensabile per la Stato italiano e per l’Europa “nonostante l’orografia” se abbiamo anche potuto assistere come in quattro e quattr’otto son state eseguite opere viarie cittadine! Si deve allora considerare come “quelle cose lì” sian sempre state estremamente complesse. Lo erano già dai tempi della lunga e nota Storia Mercantile legata a quell'apertura continua in tutto il mondo conosciuto dei nuovi mercati che i Genovesi han sempre portato avanti nella loro storia e dunque il commercio e la conseguente necessità di trasportare le merci dalle Foci e dalle Spiagge, prima ancora che dai porti, al di là dei Gioghi, delle Croci di Vie e delle Foci di un territorio lungo e stretto, particolare e fragilissimo che veniva però percorso in tutti i suoi luoghi da e per ogni dove, da e per il mare, da e per le Padanie ed oltre, oltre ed oltre ancora da viandanti di ogni genere, compresi i nemici che però non riuscirono quasi mai a passare, e da quei mulattieri che con i loro muli contribuirono alla costruzione della ricchezza e della grandezza oltre che, man mano, al miglioramento viario disseminando qui e là nel tempo, sulle direttrici di marcia, quei Borghi arricchitisi di quella cultura delle cosiddette “Terre di Passo” che si trovano fin negli anfratti più nascosti di quell’Appennino Ligure, bello, aspro e selvaggio che un tempo arrivava fino al Grande Fiume, il Po!
Con la modernità, man mano, Cittadini d’accordo o no, “quelle cose lì” si son fatte sempre più pesanti e son diventate addirittura devastatrici se tutt'ad un tratto se ne è potuta toccar con mano la pericolosità e la tragedia tanto che il dubbio emerso è stato quello che “quelle cose lì” son parse come essere state date in mano, se non a degli incapaci, almeno a chi - non si dice provasse chissà quale affetto per Genova e la Liguria dove magari vi aveva trovato le risposte alle aspettative della proprio vita – non ha guardato che al profitto senza tenere assolutamente conto dei luoghi, della loro bellezza che così sfioriva sempre più e della loro fragilità sempre più compromessa, per non dire degli “abitatori” oltre che degli utilizzatori!
E nâe, nôe, no! Chìe no ghe sémmo… me câi vôi!
Non va bene, come diciamo a Genova che forse ancora meglio sarebbe seguire quel detto popolare che recita … gîla cómme t’eu ma ciù l’amîo e ciù me pâ che sta cöça chìe a ne ségge chéita pròpio ‘n to cû!
Ed allora ecco che trattandosi di “casa nostra” piacerebbe un po’ di più “decidere da noi” come si è sempre fatto.
Come i Campioni d'Europa vincitori perché ognuno di quei giocatori si è - o è stato - riconosciuto nel suo utile particolare, nella sua specificità “portando così il suo miglior contributo” al gruppo.
E allora bisognerebbe immaginare che la politica funzionasse proprio così come, almeno si sente dire, pare aver funzionato la squadra campione!
Da lì, da quel fare squadra allora, perché non tendere ad appartenere al mondo delle più avanzate e moderne Repubbliche Federali dove si fa squadra partendo proprio dal considerare valide e rendere veramente autonome le regioni in considerazione proprio di quelle storiche Libere Entità Amministrative sovrane che furono già veri e propri Stati preunitari dove, alcuni di essi, come la nostra Repubblica di Genova, erano già moderni posto infine che il concorso di tutte le “specificità” o le “particolarità” unite ad una nuova “assunzione delle responsabilità del governo del proprio”, possa consentire - portando ognuna di esse il meglio del loro alla generalità - di non essere più quei Cittadini così oscuramente manipolati dall’ombra di chi decide per tutti, aggiungendo infine, dopo aver portato e continuando a portar via loro …anche l'anima perché si vince uniti, ben diretti e non costretti!
- Dettagli
- Scritto da Gianfilippo Noceti
- Categoria: Storia e geografia
Questa è una mappa realizzata attorno al 2004 con cui ci si ripropone di studiare una nuova organizzazione amministrativa della rinata Repubblica di Genova.
Si è immaginata tendo conto, al contempo, di fattori storici (anche nei nomi) e orografici, con particolare attenzione alla grande caratteristica del territorio extra urbano interno Ligure: le vallate e le displuviali.
Smembrata la città di Genova nei suoi antichi Comuni, non certo per una regressione ad antiche forme di governo locale, si è pensato a come ricomporne il tessuto pensando ad una ri-unione in città (Çitæ o Sestê), suddivise in quartieri (Quartê, corrispondenti ai vecchi comuni) che formano assieme la metropoli (Çitæ metropolitann-a), con l’aggiunta di nuovi Comuni non facenti parte dell’attuale Comune Genovese.
Innanzi tutto il centro che corrisponde alla Città esistente alla fine del XIX secolo, direttamente confinante con quattro degli altri Sestê:
- uno che comprende tutti gli attuali Comuni extra cittadini dell’alta Val Polcevera con Pontedecimo e San Quirico
- uno l’alta Val Bisagno con l’aggiunta di Davagna e Bargagli
- uno corrispondente alla bassa Val Polcevera da Bolzaneto alla foce del torrente e comprendente le due sponde del medesimo
- uno che da Quarto si spinge a Sant’Ilario e Bogliasco.
Gli ultimi due, agli estremi lungo le Riviere, da Sestri a Voltri con l’aggiunta di Mele e da Pieve a Camogli, quest’ultimo è l’unico che contempli in toto Comuni attualmente al di fuori del Comune Genova.
I Sestê così agglomerati dovranno avere una forte autonomia decisionale in merito a questioni locali, molto oltre gli attuali municipi, e rappresentanti eletti dai cittadini. La Città metropolitana avrà un Sindaco eletto dalla popolazione di tutti i Sestê ed una giunta che sarà partecipazione degli eletti dei 7 Sestê di cui sopra.
In maniera analoga il resto nel territorio è suddiviso in cantoni, chiamati “Poestàie”, che sono amministrativamente suddivise nei Comuni oggi esistenti ed i confini delle quali sono scelti sulla base di fondamenti storico geografici. I Comuni che ne fanno parte sono inoltre raggruppati in Comunitæ, che hanno un valore consultivo all’interno della Poestàia di riferimento. Le cariche elettive sono rappresentate da una Giunta della Poestàia eletta fra i rappresentanti che partecipano alla Comunitæ, estratti dalle Giunte dei Comuni che le compongono, presieduta da un eletto dai cittadini di tutti i Comuni. Chi partecipa alle Comunitæ è scelto dai cittadini fra coloro che sono eletti nelle giunte comunali.
La mappa comprende tutti quei territori che si possono includere nell’Oltregiogo, compresi in tre Poestàie formate da Comuni oggi facenti parte della regione Liguria ed altri che invece sono amministrativamente inclusi in altre regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia) e all’estremo ponente i territori sottratti oggi in territorio francese e Monegasco.
Alcune “poestàie” corrispondono a singole città, come nel caso di Noli e possono avere maggiore autonomia come nel caso dei territori Monegaschi (aggiunti di una più ampia porzione includendo Ventimiglia) e a Seborga o, ancora, l'Isola di Capraia che dovrà necessariamente fare parte della nuova Liguria Indipendente.
Si è, infine, cercato di dare dignità laddove utile e possibile all’Entroterra, posizionando lì il capoluogo di alcune “Poestàie” che pure si affacciano sulle Riviere, oltre a crearne con territorio esclusivamente situato in Appennino.