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- Scritto da Peter Beffroy
- Categoria: Arte
Sabato 29 marzo sono stato al Vernissage dell'esposizione "O sole mio"
mostra personale di David Ancelin in programma dal 1 aprile al 3 maggio alla Galleria Eva Vautier di Nizza.
Per me, che considero Arte soprattutto ciò che squarcia il velo sul futuro, rappresentando ciò che sarà o che potrebbe essere, David Ancelin è sicuramente uno dei migliori artisti contemporanei.
Suoi lavori sono presenti al Mamco di Ginevra, espone stabilmente a Parigi ed è rappresentato a Nizza dalla Galleria Vautier ed a Pechino dalla Jaili Gallery.
Erano poco più di due anni che non lo incontravo di persona. L'avevo lasciato sul finire del 2011 in uno degli spazi dell'Atelier Spada di Nizza alle prese con lo studio di "Deep Blue" (Profondo blu) un mosaico in pasta di vetro riproducente un piano d'acqua dal quale fuoriesce un getto aperto alla sommità come se vi fosse appena caduto qualcosa.
Qualche settimana prima, con "Chinese Rock", un prodigioso allestimento, visionario e profetico1, aveva attraversato da protagonista "La sculpture autrement".
Una rassegna delle migliori creazioni artistiche sulla Costa Azzurra lungo 60 anni, organizzata dalla città di Mougins, in collaborazione con i Musei delle Dipartimento delle Alpi Marittime, nella quale erano rappresentati tutti i più grandi artisti del Novecento ed i migliori degli anni 2000.
L'avevo conosciuto nel 2008 quando, giovanissimo, era venuto in Italia, a Deiva Marina, per lavorare in un progetto sperimentale "DeivArte" messo in piedi coraggiosamente da quella Comunità.
Era già bravo. Si capiva che sarebbe diventato un artista importante.
A Mougins era già importante. L'altra sera a Nizza ho visto un grande artista. Sulla strada per diventare un artista monumentale. Non per caso l'esposizione "O sole mio" si è tenuta alla Galleria di Eva Vautier, la figlia di Ben Vautier.
Tutti riconoscono la grandezza internazionale di Ben, noto al grande pubblico a partire dal 1960 soprattutto per le sue "scritture" declinate in diverse forme e per aver fatto parte del gruppo "Fluxus". Un movimento mirato a sottolineare quanto la quotidianità e la banalità della vita di ogni individuo possano essere intese come evento artistico.
Un obiettivo, quello dell'arte innovativa, perseguito con decisione da Ben il quale di sé stesso una volta ha detto : "Mi piacerebbe che si dicesse un giorno che ero necessario in un certo momento per produrre una nuova situazione".
Proprio così, perché il vero artista non è un creativo è un creatore.
Ha delle inclinazioni. È guidato da istanze culturali.
Allora, nella sera di Nizza si capisce che David Ancelin ha quell'esprit che è stato proprio di Ben. Come il suo illustre predecessore dà spazio allo spirito del tempo, a quei fenomeni di cambiamento che senza di lui non sarebbero mai arrivati all'attenzione del pubblico. Forse con la stessa flessibilità, forse con la stessa emozione, tuttavia con almeno una differenza.
L'assenza di Pietà.
L'arte francese, non solo nei grandi artisti della generazione risalente agli anni ‘70, ha sempre avuto come connotazione comune quella di voler portare lo spettatore verso la contemplazione della differenza, partendo da un atteggiamento protettivo che ricordava quello entusiastico dell'uomo che ha fiducia nella Pietas.
In David Ancelin non ho visto cedimenti al sentimentalismo.
Nel suo lavoro c'è la costruzione paziente, c'è la tensione salutare dello sforzo, c'è la freddezza del calcolo, c'è l'armonia delle composizioni, c'è il nesso tra cosa e cosa, c'è un'intima allegria, ci sono delle possibilità, dei contrappesi per lo spettatore, ma non c'è la Pietà.
Non c'è, perché sarebbe inutile per raccontare il nostro universo in fuga, un palcoscenico dove ogni uomo non lascia di sé che misere reliquie mentre le sue speranze se ne stanno andando in pezzi in maniera confusa ed umiliante.
Ho detto all'inizio che per me Arte significa soprattutto ciò che squarcia il velo sul futuro, rappresentando ciò che sarà o che potrebbe essere. Allora se si vuole tentare di capire quali sono e quali saranno le sfide che ci attendono in questa "età globale", in questa epoca di cloni, di repliche bisogna innanzi tutto avere il coraggio di assumere analiticamente e padroneggiare la sproporzione esistente fra l'uomo ed il mondo dei prodotti dell'uomo e di affrontare una volta per tutte il conflitto fra il sistema dei valori e la loro traduzione esistenziale.
In altri termini: se si vuole affermare sé stessi di questi tempi è necessario essere presenti.
David Ancelin non si sottrae. La sua opera è insieme un invito ed una risposta alla chiamata di responsabilità. Uno specchio che si allarga a riflettere direttamente la comprensione di complicate e affascinanti differenze che non possono essere ignorate da chi sia aperto ai flussi degli accadimenti.
È clima di grandi cambiamenti. Dappertutto.
1 L'installazione presentava due pali reggenti i fili di una linea elettrica dai quali penzolavano due pattini a rotelle fusi. Si scopre qui, in questa scena influente, il prezzo simbolico di un progetto produttivo indirizzato in modo lineare al dominio tecnico-industriale sul mondo esterno. Quello che completa l'opera è l'obiettiva visione dell'avventura, della novità e dell'eccentricità innescata dal mondo dell'Ovest produttivo verso quello dell'Oriente creduto (solo) deduttivo, finita con il primo costretto a vivere nell'angoscia di venire risucchiato dall'Oriente più Oriente che c'è: la Cina.
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- Scritto da Pier Cristiano Torre
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Per capire, bisogna tornare all'inizio.
L'inizio della storia di Genova si trova in un monumento che è a poche miglia dalla città, in un posto raggiungibile solo per mare: l'Abbazia di S. Fruttuoso di Camogli.
Il massimo che la Genova migliore, quella potentissima medioevale decisa a dominare il Mediterraneo - Pisa, Corsica e Sardegna comprese - ha saputo produrre.
Se ne intuisce la forza, immediatamente, all'apparire improvviso dello stupendo edificio, etico e civilissimo, posto proprio a pelo d'acqua al centro di una inquadratura incredibilmente suggestiva.
Guardando in alto è possibile scorgere i contorni della balconata di roccia che lo sovrasta. Scendendo con lo sguardo si percepisce la ripidezza delle pareti a strapiombo nascoste da una vegetazione lussureggiante che, digradando fino al mare, avvolge su tre lati rendendola invisibile da tutte le parti, fuorché di fronte, l'Abbazia.
Il forte contrasto ottico fra lo splendore dell'edificio, che riflette la luce dello specchio d'acqua che gli sta d'innanzi, e la sagoma scura di questa sua quinta naturale, danno l’impressione che l'Abbazia sia come sollevata da terra, quasi a volersi distaccare dalla realtà apparente. In questo modo, con la sua struttura racchiusa rigidamente dalle alte pareti della montagna, si carica di un valore espressivo tutto accentrato sullo spazio interno, assumendo il ruolo di un area magica.
Un simbolo.
Il simbolo della gloria e del potere: quelli di una Città padrona assoluta a casa sua.
Allora, non si può capire Genova se non si è stati all'Abbazia di S. Fruttuoso di Camogli. Come non si può capire l'Abbazia S. Fruttuoso di Camogli se non la si vede comparire nella luce livida, nell'aria convulsa e tempestosa di una giornata di burrasca mentre dal nero del mare proviene un rombo misterioso e suggestivo molto simile ad un cupo lamento; è la voce di Genti e culture antiche.
È la voce dei padroni dell'Abbazia.
Entrandoci, nell'Abbazia, accompagnati da questa visione fascinosa, si cammina come in un grande scenario dove ogni ciottolo, ogni muro, ogni arcata, mettono il visitatore in comunicazione con la storia. C'è qualcosa di intenso e spontaneo, di fortemente intellettuale, che viene dal profondo dell'animo di questa costruzione e che ben si accorda con lo spirito di quelli che furono fra i più potenti del mare e che ora, lì, riposano in pace.
Per loro, i contenuti erano sempre più importanti delle condizioni e più forti delle conclusioni.
Così come non concedevano soluzioni di ripiego alla loro coscienza, non ne ammettevano nelle loro cose. Forse per questo a cinque anni dal principio del Trecento, nella pietra bianca e nera del marmo e dell'ardesia, hanno inciso le loro epigrafi con gli stessi caratteri che usiamo noi oggi. Perché erano convinti di arrivarci fino a noi.
Con il diritto ad esistere per sempre con le facce che avevano.
Facce che non scherzavano per niente. Provavate un po' a non pagarli.
O anche solo a non farglieli gli Auguri.
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- Scritto da Pier Cristiano Torre
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Una fune. Un oggetto di uso comune che, a seconda della parte dalla quale lo si guarda, dalla terraferma o dal mare, cambia nome.
La corda, quella della campagna e del lavoro contadino; la sagola, in uso presso i marinai.
Corda e sagola sono i simboli rispettivi con i loro concetti e le loro relazioni di due categorie storiche in assoluto contrasto.
Questi due mondi, che si sono dati sempre le spalle, oggi si ritrovano uniti sul nuovo lungomare di Deiva Marina. Corda e sagola non esistono più. Esiste solo la luce che si riflette sulla linea della fune e che ce la restituisce con un aspetto nuovo. Mai come su questa passeggiata terra e mare si combinano fra di loro fino a cambiare dimensione.
Questa atmosfera attira la nostra attenzione con le suggestioni di un mondo lontano: quello fantastico legato ai Transatlantici e al sogno proibito della bella vita.
Protagonista della fantasia, il Transatlantico già dalla sua origine aveva anche provveduto a cambiare dimensione al mare spalancandolo a chi veniva dalla campagna per scoprire l’ America. Per la prima volta sul Transatlantico potevano navigare tanto quelli che sapevano nuotare come quelli che sapevano solo camminare.
Azzerati sul finire degli anni ’70 questi elementi tornano 30 anni dopo sul nuovo lungomare di Deiva Marina.
La passeggiata Cristoforo Colombo è una prosecuzione, perché la sua matrice è la turbonave Michelangelo.
Il ponte rialzato, la soluzione arrotondata delle ringhiere, l’alternanza di spazi semicircolari e rettilinei, il movimento quasi astratto dell’insieme, sono tutti elementi allusivi della grande nave e portano in loro la tradizione della precisione che fa dell’architettura italiana ancora la migliore del mondo.
Ma la passeggiata è anche un risarcimento intellettuale, perché questo lungomare non è una cartolina. Qui c’è sostanza. Questa autenticità è come una restituzione ideale; il mare visto da terra cessa di essere solo paesaggio e la battigia cessa di essere l’ultimo punto della terraferma.
Come accadeva per il ponte del Transatlantico, il lungomare diventa il luogo dello scambio e si spalanca tanto a quelli che sanno nuotare come a quelli che sanno solo camminare.
Impaginato da Capellini come una scenografia teatrale il lungomare si fa set.
Luci e movimento nella notte, dove tutto è possibile ed il ruolo da protagonista viene assegnato alla figura del visitatore che, entrandovi, si carica di eleganza diventando il centro del mondo.
Poi, anche qui, l’architettura irrompe nel futuro; etica e estetica coincidono, Deiva cambia forma e dialoga con l’arte.
Paese che vai stile che trovi. Questo la dice lunga circa la risposta da dare alla domanda contenuta nel titolo. Signori di solito si nasce ma si può anche diventare sotto la riconversione dello stile.
Dove lo stile, quello che oggi stupisce la Liguria, è un segno di supremazia, perché lo stile è l’uomo.
* [ da quotidiano La Nazione settembre 2005]
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- Scritto da Pier Cristiano Torre
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“Défi a Newton”. Sfida a Newton.
Questo il titolo dell’opera di Arman che io preferisco, esposta, insieme a quelle di Picasso, Mirò, Chagall e altri, dal 12 luglio fino al 21 settembre, nella Torre Saracena di Deiva Marina per l’avvio di “Deiva dialoga con l’Arte”, manifestazione che mette in scena diversi percorsi artistici internazionali. Certi artisti espongono, altri lavorano abitando la città.
Sfidando le leggi stabilite da Newton, con la costruzione di una scultura dove i tubetti del colore si reggono miracolosamente in piedi uno sull’altro sostenendosi solo sulla colata del contenuto, Arman, addomesticando i principi della fisica, forza l’inerzia del quotidiano mostrando che ognuno può costruire da sé uno spazio autonomo se solo riesce ad aprirsi verso referenti esterni.
È quello che ha fatto la comunità di Deiva Marina con “Deiva dialoga con l’Arte”.
Un progetto tradizionalista nel rifarsi, attraverso la vecchia Torre bellissima, al mito di un territorio dove nel corso del XVIII secolo si è concretizzato un vero e proprio rinascimento ligure, legato, tanto alla cultura locale delle arti e dei mestieri, quanto aperto al dialogo con i nuovi protagonisti della vita politica, sociale e culturale del tempo. Moderno, nel pensare all’Arte ed alla circolazione degli artisti come catalizzatore della creatività al servizio dell’economia e del sociale, così come a riflettere la visione globale del suo ruolo.
La questione sta tutta qui. Nella conciliazione fra la volontà di appartenenza ad un sistema di valori conosciuto e l’intenzione di spalancarsi ad un progresso che arriva da oltre le frontiere.
Non per caso, dunque, questa nuova versione di Deiva Marina si può immaginare divisa in due parti.
Una interna; nella quale dall’11 agosto l’attività degli artisti, ospitati in appositi spazi del Centro Storico attrezzati ad atelier, si mescola la vita residenziale del paese. Una esterna; che si mostra con i tratti di un sistema socioeconomico-territoriale capace di produrre innovazione culturale e opportunità di mercato diffuse.
Perché con “Deiva dialoga con l’Arte” non è soltanto la geografia urbana della cittadina a cambiare ma è la natura di tale spazio ad apparire completamente diversa. La portata totale di questo cambiamento si misurerà con il tempo ma, già oggi, di fatto, Deiva Marina, e con essa la provincia della Spezia, getta un ponte verso i capoluoghi dell’Arte internazionale:Bologna, Parma, Firenze, Milano, Nizza, Marsiglia.
Non è fortuito che la maggioranza delle opere e degli artisti presenti nel programma di “Deiva dialoga con l’Arte” documentino la migliore ricerca artistica francese e le eccellenti elaborazioni delle neo-avanguardie australiane. Sicché, sbaglierebbe chi considerasse soltanto occasionale l’incontro fra questo borgo del Levante ligure e le parti più evolute dell’arte e della cultura contemporanea. Da questo punto di vista Deiva Marina ha creato certamente il presupposto per un incontro stabile con l’Arte, perché fondato sul reciproco rispetto.
Suona così come una verità la dichiarazione iniziale di Arman: “Défi a Newton”. Sfida a Newton. Perché quaggiù, sulla terraferma, è indispensabile all’esistenza quella condizione di vivacità e di scioltezza che mette in evidenza in ogni modo la dinamica ed i destini degli uomini.
E allora, fra ambiente, materiali, colori, le due parti in dialogo a Deiva Marina, tradizione e futuro, non cercano il tema di una nuova epoca: la libertà di edificare la propria rinascita. Lo hanno già trovato
* [ da quotidiano La Nazione agosto 2008 ]