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- Scritto da Pier Cristiano Torre
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1665. Baldassarre Embriaco, nato in oriente da famiglia genovese, intraprende un viaggio lungo e avventuroso alla ricerca di un libro unico e misterioso: “Il centesimo nome”.
Baldassarre viaggia lungo l'intera costa nordafricana, e poi ancora a Lisbona, Amsterdam, Londra, per approdare infine a Genova.
È questo un libro fondamentale per chi voglia capire Genova, giacché racchiude in sé una speciale grandezza: l'annuncio di un destino, esemplificato attraverso l'inimitabile motivo del cosmopolitismo culturale della Genova Seicentesca.
Perché se la Vita, anche quella contemporanea, ha una base culturale significativa su cui voler poggiare, allora senza dubbio questa base si rifà a quel antico ricordo.
Non per niente, “Il periplo di Baldassarre”, con questa sua proposta di stare al mondo, ha rappresentato l'esatto strumento attraverso il quale un'intera generazione di apolidi culturali come i “pied noir”, i figli dei francesi fuggiti d'Algeria, ha cercato e trovato un luogo, Genova appunto, sul quale posare il cuore.
Naturalmente si possono muovere obiezioni, si può dire che il libro è anche qualcos'altro. Ma se si prova a materializzare la forma di questo qualcos'altro si scopre che è impossibile. Perché qualsiasi forza stia nel libro non potrà mai staccarsi dalla realtà, dal carattere e dal pensiero di quegli antichi Genovesi e della loro Città.
N.d.R. la copertina riprodotta si riferisce all'edizione del 2000
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- Scritto da Pier Cristiano Torre
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L'esprienza ligure 1792-1992
di Edoardo Grendi. Editore, Marsilio, 1996, pp. 183
Muovendo dall’incrocio tra le scienze analitiche del territorio e la storia economica, l’Autore, senza dubbio il più grande studioso dell’universo Ligure, sviluppa il tema del percorso della storiografia Ligure dalla fine del Settecento fino ai giorni nostri.
La selezione tra le diverse componenti intellettuali che hanno marcato questi due secoli riflette lo stile personalissimo dell’Autore.
L’analisi diventa così una lettura critica che si allarga a tutte le espressioni della storiografia; dalla tendenza antiquaria che ne aveva segnato gli inizi, al positivismo naturalistico dell’Ottocento, al tema dominante del ligurismo, che fissando la sua attenzione su questioni di ordine cronologico trascurando la dimensione socio-economica e antropologica delle vicende, come un ostacolo insormontabile, impedirà fino agli anni sessanta ed oltre del Novecento ogni rovesciamento di tendenza.
Lo studio di Grendi, oltreché indicativo per capire le ragioni dello scarso successo di ieri e di oggi della ricerca storica regionale, assume un valore esemplare per il lettore aprendogli la possibilità di intraprendere in proprio un nuovo e critico viaggio attraverso la lunga marcia della storiografia Ligure.
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- Scritto da Pierluigi Patri
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Con uno scarsissimo bagaglio culturale specifico ho letto “FAVOLE & NUMERI. L’economia nel paese di santi, poeti e navigatori” scritto da Alberto Bisin e pubblicato da “Università Bocconi Editore" (16 euro).
Il modo semplice e non accademico con cui l’Autore, Professore di Economia alla New York University, illustra e spiega alcuni aspetti dell’economia ne rende semplice la comprensione anche a persone come me.
Come da sottotitolo “…paese di santi, poeti e navigatori ” l’analisi della situazione della repubblica italiana occupa la maggior parte della trattazione.
In particolare nel capitolo “Lavoro, produttività, welfare” ho trovato considerazioni che mi hanno indotto ad un istintivo paragone con quanto proponiamo per lo sviluppo dell’intrapresa nella nostra Terra.
Pagina 131 “Purtroppo la politica del lavoro in Italia è profondamente carente. Una carenza dovuta anche (o forse soprattutto) a una grave mancanza di comprensione dei rapporti tra mercato del lavoro e attività produttiva in una economia di mercato.”.
Pagina 133 “Sono quarant'anni che in Italia siamo attanagliati dalla logica della contrattazione salariale centralizzata, associata alla regolazione per legge delle forme contrattuali: i risultati sono sotto gli occhi di tutti. E non è un caso: tutta la teoria economica ci dice che interventi diretti per regolamentare prezzi e condizioni contrattuali portano a gravi inefficienze.”. Appunto : politica nel lavoro e centralizzazione sono agli antipodi della libera trattativa tra chi offre un lavoro e chi ha le capacità tecniche per realizzarlo. Direi che l’ingerenza della politica e l’accentramento della regolamentazione sono perfetti per soffocare il lavoro.
Pagina 134 “Nonostante la situazione drammatica del mercato del lavoro in Italia, continuiamo a raccontarci la favola della lotta di classe, nella versione movimentista del «salario variabile indipendente» di sraffiana memoria …”. E seguono le citazioni di tre “intellettuali”. Anche in questo caso ritengo di poter dire che l’ingerenza della politica, cui si asservono ragionamenti da azzeccagarbugli, va nel senso apposto alla creazione di occasioni per ottenere il benessere. Fomentare dissidi, invidie, conflitti serve ai politicanti per giustificare la loro esistenza e tutti i benefici di cui godono, di certo danneggiano coloro che vogliono intraprendere.
Pagina 136 e seguenti, paragrafo “Protezione dell’occupazione”. In queste pagine ho trovato alcune considerazioni “americane”, in realtà solamente ed estremamente logiche, sul lavoro ed il precariato.
Pagina 136 “In Italia la protezione legale dell’occupazione consiste in norme che … proteggono direttamente il posto di lavoro … al contrario, del tutto inadeguato è il sistema di ammortizzatori sociali atto a proteggere il lavoratore che abbia perso il posto di lavoro …”.
Pagina 138 “Secondo i risultati più robusti, una maggiore protezione del posto di lavoro implica una minore velocità di ricollocazione dei lavoratori … una minore occupazione ed una maggiore disoccupazione per giovani e donne …”.
Pagina 139 “In conclusione, che cosa potremmo aspettarci da un allentamento della protezione dell’occupazione, nel senso di protezione del posto di lavoro? Il mercato del lavoro diventerebbe più dinamico: più lavoratori perderebbero il lavoro, ma più persone ne troverebbero uno.”. Mi ripeto ma mi pare sia evidente che uno Stato -come quello italiano- pesante ed invasivo di tutti i settori della società, dalla legislazione pletorica e frequentemente contraddittoria, sia nocivo per il benessere di chi vuole darsi da fare. Di lavoro precario ne sentiamo parlare e ne leggiamo tutti i giorni ma anche su questo argomento incombe l’italico, premeditato , malinteso atto a fomentare la conflittualità se non addirittura l’odio che fa gioco ai politicanti di turno.
Pagina 140 “Quella di precario è la condizione in cui si trova un lavoratore a tempo indeterminato in una occupazione con minime prospettive di avanzamento di carriera e/o di trasformazione a tempo indeterminato e in un mercato di lavoro caratterizzato da alta e cronica disoccupazione.”. Quindi un precario non è il lavoratore che non è assunto in un “posto fisso” come ci danno da intendere; se il mercato è libero ed una persona è capace ed ha voglia di lavorare può cambiare tanti posti di lavoro senza mai rimanere disoccupato. Precario, nel lavoro come nella vita, è colui che ha poca conoscenza e si ritrova in una società senza riciclo di occasioni per le leggi che ingessano il lavoro. E quanto scrivo penso non sia una mia erronea interpretazione tanto è vero che negli esempi newyorkesi citati dall’Autore a pagina 141 la “precarietà” , cioè la propensione a cambiare i lavori “… è libertà, è qualità della vita; e si trova a tutti i livelli sociali ...”.
Ho già scritto troppo quindi vedo di chiudere rapidamente.
Le ultime venti pagine sono sostanzialmente dedicate all’analisi complessiva del sistema italiano che può sintetizzarsi in: spesa pubblica eccessiva, clientelare ed inefficiente.
Quindi uno Stato che succhia risorse e rende servizi scadenti complicandoci enormemente la vita.
Qualsiasi persona di buon senso si libererebbe di un fardello così dannoso e pesante.
I genovesi, invece, no. Rinunciano ad esercitare il diritto di staccarsi dallo Stato italiano ed abbandonare alla deriva una barca che ci porta alla rovina. Maniman …
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- Scritto da Peter Beffroy
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La bellezza e la poesia. Ho scelto deliberatamente di affrontare questi due aspetti del lavoro di Gilbert Paul - che, il 16 luglio, dopo un anno e mezzo, ho ritrovato alla sua importante “personale” a Cabris, nello spazio perfetto della Chapelle Sainte Marguerite - in attesa che il dibattito attorno all'opera di questo Artista, dallo stile puramente francese ma dal linguaggio così approfondito da esprimere compiutamente la complessità dell'essere, dia luogo ad una più importante discussione.
La bellezza, caratterizzata dalla forza del segno e del colore.
In Gilbert Paul le tinte non sono sempre quelle più somiglianti ma sempre quelle più adatte ad esprimere sensazioni. Allo stesso modo la rappresentazione dei soggetti non consiste nella forma definita e costante universalmente accertata. Ma è libera, autonoma, senza obbligo di esatta riconoscibilità figurativa.
La natura, ad esempio, è schematica ma i suoi dettagli sono selettivi. Si potrebbe quasi dire che alla prima ed iniziale natura fatta di alberi e piante radicate nel terreno Gilbert Paul abbia sostituito una seconda natura che trova il suo fondamento nella superficie dei suoi quadri.
"Coucher de soleil sur les rochers"
Opere che, a ben guardare, da strumento di rappresentazione diventano strumento di riproduzione. Difatti come le forme vegetali proliferano e si espandono fino ai confini del loro spazio terricolo anche la natura di Paul vuole toccare i confini del suo nuovo mondo: lo spazio aperto del quadro.
Niente la può fermare. Neppure la geometria dei neri impiegati per delimitare gli elementi e le figure. Questi, pur non comportando l'illusione della profondità, diventano un altro modo per unire i piani dell'immagine. In questo senso acquistano una funzione dinamica; sono come una porta e quindi, più che da barriera, funzionano da spazio di ingresso.
Questa accuratezza creativa è anche un invito poetico. La poesia data dall'esperienza emozionale e spirituale della realtà, così come la sperimenta l'Artista. Dipinge ciò che sente, esattamente come il Poeta canta ciò che vede. Entrambi, svelano quello che è sotto gli occhi di tutti ma nessuno sa riconoscere, perché nessuno, a differenza dell'Artista o del Poeta, sa portare nella vita quotidiana le forme simboliche. E le forme simboliche di Gilbert Paul vivono intensamente.
Paul ha sviluppato un processo di materializzazione e di evidenziamento della luce mediante l'affermazione di timbri squillanti di colore, bloccati o raffreddati da tonalità più scure, che danno alla sua opera una concretezza quasi filosofica. Quella di chi riconosce dietro la natura l'essenza della vita. Il risultato è un atteggiamento verso l'Arte vista come un procedimento per rendere visibile l'invisibile.
In questo consiste la poetica di Gilbert Paul.
Questo ancora oggi è il movimento migliore dell'Arte europea. Bellezza e Poesia.
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- Scritto da Peter Beffroy
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Si dice che ogni anima si sceglie la vita che le tocca.
Secondo il Mito a ciascuna, poi, spetta in abbinamento un senso di individualità del tutto particolare perché le faccia da guardiano e l'aiuti a compiere il destino da lei stessa prescelto. In modo che tutti gli eventi di una vita abbiano una forma compiuta comprendente quei limiti che non si possono oltrepassare e la fine stabilita per ciascuno.
Non sempre questa forma compiuta si vede nella realtà fisica. Non sempre questo inimitabile motivo viene scoperto dall'interessato. Nondimeno diventa visibile quando dietro la pagina della vita si accende la lampada dell'Arte .
È stato così, guardandolo nella controluce dell'Arte di una inaspettata quanto strepitosa esposizione a Theoule sur Mer, tenutasi nell'aprile di quest'anno, che ho scoperto il mistero di Gilbert Paul.
Gilbert Paul. Un pittore che si è definito così: “ Io sono stato influenzato da Van Gogh fra gli altri e mi servo di questa influenza per situare una storia attraverso un posto, un luogo portatore di emozioni e sono queste emozioni che io ricreo con il mio lavoro.”.
Eppure Gilbert Paul non è solo questo.
Ci sono molte più cose nelle sue opere di quanto ammetta quella sua rapida definizione.
Certo, ci sono tante piccole spinte che ricordano dei momenti specifici, delle immagini note o immaginarie, dei colori precisi, (il giallo è davvero lo stesso di Van Gogh) che danno la sensazione irripetibile di una emozione, la fascinazione di un contatto con l'impressionismo, tutto proposto con la soggettività efficace dei segni stilizzati, con l'eloquenza dell'arte naif. Ma c'è di più.
C'è un bisogno pressante ed improvviso, un curioso insieme di circostanze, una segreta e speciale grandezza che lotta per esprimersi.
Tutta l'opera di Gilbert ha per argomento la potenza di questa sensazione. La sensazione che ognuno di noi è chiamato a percorrere una certa strada, che ognuno di noi fin dall'inizio ha una forma compiuta. Questa immagine innata non è nient'altro che una vocazione. La vocazione di Gilbert Paul è quella di rendere la pittura vivente, di dare energia agli elementi.
“Il Vento si alza” - “Le Vent se lève” è sicuramente il quadro che ratifica la pienezza del movimento della natura.
Perché se il Vento ha mai avuto una base su cui poggiare è senza dubbio questo dipinto, come senza dubbio il mio ricordo poggia sul Vento.
Io vengo da Genova, una città di pietra grigia, dura, indocile e contraria.
La si ama volendola odiare. La si odia volendola amare.
Forse per questo a Genova tutto è posseduto dal Vento. C'è sempre Vento. Anche quando tutto all'intorno sembra calma piatta.
Si svolta un angolo, si scollina una rampa ed il Vento è lì con il suo corpo, da odiare se si può o da amare controvoglia. In ogni modo da ammirare in ogni suo aspetto.
Gelido, tagliente, che penetra nelle ossa ammaccandole, dall'autunno all'inverno.
Umido, logorante, stressante, nella buona stagione.
Proprio come nel “Le Vent se lève” di Gilbert Paul. Mai come in questo quadro Vento è stato così Vento, foglie così foglie, natura così natura.
Pare di udire il suo suono strascicato quando il Vento la agita. E di stare a Genova, di sentire la stessa atmosfera, di vedere la stessa luce e pensare: ecco chi è Gilbert Paul; un artista capace di rappresentare sentimenti di unicità e di grandezza rivolgendosi direttamente all'inquietudine dell'anima dei suoi osservatori.
Nel mio caso, sotto il segno del Vento.