Nell'ultimo mese il dibattito pubblico si è molto incentrato attorno al caso “Catalogna”. Ossia se esista il diritto di una comunità, se la maggioranza di quel territorio lo vuole, a separarsi dall'insieme nazionale.
Parrebbe di no.
In effetti, rileggendo le esperienze di autodeterminazione promosse in giro per il mondo negli ultimi 40 anni, l'unica comunità territoriale che ha visto riconosciuto il diritto a separarsi dall'insieme nazionale è stata quella del Kosovo.
Ciò per due motivi.
Perché il principio dell'autodeterminazione dei popoli (ONU 1970) non stabilisce dei passaggi certi. Più che altro sembra essere scaturito dall'esigenza di sancire il diritto all'indipendenza di tutte quelle genti sottomesse ad un dominio coloniale. Quindi solo le comunità sottoposte ad una autorità o ad un potere centrale prevaricante ed assoluto possono aspirare all'indipendenza.
In secondo luogo perché indipendenza c'è se qualcuno te la riconosce. Qui il caso del Kosovo diventa emblematico. Il suo status fu infatti riconosciuto da diversi paesi nel mondo, mentre altri tutt'ora lo negano.
Tant'è. Ne deriva che senza un riconoscimento internazionale nessuna comunità o popolo può effettivamente dirsi ed essere indipendente.
Diverso è il caso dell'autonomia, più o meno speciale, alla quale ogni specifica comunità (in Italia, regionale) ha diritto secondo i limiti ed i principi stabiliti dalle Leggi.
In Italia sono 5 le Regioni a Statuto Speciale. Altre vorrebbero diventarlo. Veneto e Lombardia hanno appena tenuto un referendum sul tema della richiesta di un nuovo livello di autonomia.
Ma quando una comunità regionale è tanto speciale da aver diritto ad analogo Statuto?
Forse quando produce tanto reddito come la Lombardia? Oppure quando si manifesta come un insieme palpabile, visibile, con basi storiche, linguistiche, culturali e territoriali ben definite ed effettivamente distinte dall'insieme nazionale?
Se così fosse, rimanendo in Italia ed a titolo di esempio, si potrebbe senz'altro dire che i Sardi si differenziano. Tanto da potersi identificare, come effettivamente loro si sentono, quasi come una “Nazione”. Tali i Sudtirolesi.
E quando un insieme si dimostra come particolare, differente, palpabile, visibile per le sue caratteristiche storiche, linguistiche, culturali e “vocazionali” ma non ha una base certa territoriale, non perché ne sia effettivamente privo ma al contrario perché tende a costituirne una, replicandola sempre uguale a sé stessa, per ogni luogo in cui ciascun suo appartenente si trova *, che cosa succede?
Ha quella comunità il diritto ad una autonomia che ne riconosca le peculiarità, oppure no?
Questo è il caso dei Liguri.
Un Popolo, probabilmente una Nazione, pur in assenza di una Patria terricola.
Come per gli antichi Greci anche i Liguri sono sempre esistiti, singolari e differenti da tutto l'intorno. Come per la Grecia antica, che come unità territoriale non è mai esistita, anche la Liguria come unità amministrativa non è mai esistita. Neppure la Repubblica di Genova ambiva a riunire i Liguri in una Liguria.
Però i Liguri esistono.
Esistono come il “peccato mortale della psicologia”. Nel senso che sono indifferenti alla morte.
Nei Liguri la lingua, la voce, la serietà, la brevità dei testi, gli studi, le mode, la riservatezza negli annunci, il gusto per l'isolamento, il piacere assolutamente privato per la bellezza, fanno riconoscere un sentimento di unicità e di grandezza che c'entra molto con il senso della vita in cui si incarna.
Tutto questo non può essere liquidato con delle spiegazioni libresche o di maniera. Richiama piuttosto ad una vocazione: quella di sentirsi immortali. Non perché il Ligure non muoia. Perché il Ligure continua a vivere oltre la morte; nelle cose che lascia.
Allora, chi rifugge al senso di morte che attanaglia la monotonia esistenziale dei più ed intende la vita come eterna, se non può chiedere la secessione e non sa che farsene dell'autonomia, può sperare in qualcos'altro: il riconoscimento della sua Speciale Libertà?
* "Tanti sum li Zenoeixi, e per lo mondo si desteixi, che dund eli van e stan un'aotra Zena ghe fan"
(Rima dell'Anonimo Genovese , sec. XIII d.C.)