Liguria d'Oltremare: l'onnipotenza dei Genovesi.

Ad un osservatore libero non può sfuggire che la Liguria paesaggisticamente più bella e storicamente più affascinante sia quella d'Oltremare. Laddove l'Oltremare sta per una terra che Liguria propriamente non è: la Corsica.
 
Ma il richiamo non è un'invenzione e neppure un gioco e tanto meno un mito scherzosamente usato. È la Corsica stessa che ha ripreso l'antica immagine della gestione Genovese dell'isola per restituircela in raffinata eleganza, in quanto i segni di quella presenza oggi hanno grandissimo credito nel mondo.
Una cosa sorprendente se si pensa che i Corsi hanno sempre esercitato tutti i loro usi e costumi locali come segno di identità. Un'identità così intensa che ha dislocato lungo i secoli le forze della lingua, dei legami familiari, dei prodotti della natura per difendersi dalle altrui ingerenze e dominazioni. Una storia tanto fiera e particolare che persino gli animali da  allevamento l'hanno ripresa; in Corsica, anche le mucche hanno il mantello della tigre.
Lo sapeva bene l'antica Genova, città di memoria lunga, per la quale, fra le tante lotte sostenute nella sua storia secolare, la Grande Guerra era una e soltanto una: quella di Corsica del 1553-59.
Se la Corsica contemporanea decide di rivolgersi a quel suo passato, grande e misterioso, per entrare definitivamente nella casa del movimento turistico-culturale internazionale non è dunque solo un compromesso di comodo.
L'orgoglio dei Corsi ha sempre saputo mantenere la necessaria distinzione fra le cose che li circondano.
La lotta contro la Repubblica di Genova è il portato di questa pratica culturale. Proprio quando a Genova, dopo la congiura dei Fieschi,  scattavano  le ritorsioni “doriane” contro quella parte di nobiltà e di popolazione in qualche modo riconducibile alla sfera di interessi fliscana, in Corsica  i rivoltosi saccheggiavano e distruggevano i beni  di quella parte di aristocrazia legata ad Andrea Doria mentre risparmiavano tutti quelli contraddistinti dalle insegne dei Fieschi.  Così ancora oggi troviamo integri  molti dei beni appartenuti a quella antica casata.
 
Questa marcata tensione immaginifica verso i connotati Genovesi dell'isola ha trovato il suo punto più alto in una trasmissione televisiva* confezionata belle e apposta per presentare al mondo il patrimonio culturale locale.
Il forte di Girolata e la cittadella vertiginosa di Bonifacio ne sono stati, al tempo stesso, la forma ed il tema. Per dirla con le parole della conduttrice: “ Des falaises de calcaire blanches sculptées par le vent, Bonifacio, cité fortifiée comme suspendu dans le vide , un dédale de ruelles  qu'il domine la mer a plus de 70 mètres d'hauteur, signe de la toute puissance des Genois”.
 
Dio salvi la Liguria d'Oltremare e, se può, dia un'occhiata anche alla Madrepatria; c'è tanto bisogno. 

* Il servizio di Carole Gaessler  in Corsica è andato in onda mercoledì 20 aprile 2016 alle ore 20,55 su TV5Monde.

Commenti (0) Visualizzazioni: 2752

The Ligurian Pavillon

“Vous calculez 800 mètres d'escalade pour 150 mètres de dénivellation, environ trente minutes."

Calcoli 800 metri di scalata per 150 metri di dislivello, circa trenta minuti.
Così dice la signora all'Ufficio del Turismo. Penso che con una temperatura di 41° mi ci vorranno tutti se non vorrò arrivare alla sommità disfatto dal sudore e dalla fatica.

Sono a Entrevaux, città fortificata posta lungo un'ansa del fiume Var al confine delle Alpi Marittime, e nella mia migliore tenuta da esploratore africano mi preparo a salire verso la sua roccaforte. Lassù mi aspetta Gavin Ikelian, un inglese giramondo con ascendenti armeni che ho conosciuto qualche giorno prima ad Agay.

Ci siamo trovati al locale Bureau d'Accueil; io alla ricerca di indicazioni sul misterioso sito paleo-ligure del Vallon de la Cabre, lui alla ricerca di un menhir perduto. Naturalmente le bellissime incaricate non sapevano niente né dell'uno né dell'altro argomento. Del resto, come non scusarle. Abituate ai miliardari della Costa d'Oro non si poteva certo pretendere prestassero attenzione ad un inglese ed a un "francese" dalle dubbie origini.

Comunque, saputo del mio interesse per i siti paleo-liguri della Provenza mi ha invitato a visitare Entrevaux promettendomi una sorpresa.

Conosco Entrevaux per averla visitata anni addietro. E' una strepitosa cittadella fortificata, accessibile dalla “Porta Reale” e dal suo celeberrimo ponte levatoio, dominata da una roccaforte posata in bilico su uno sperone di roccia. La cittadella e l'insieme delle fortificazioni del borgo, nella loro versione attuale, si devono al Maresciallo di Vauban, ingegnere militare di Luigi XIV. Ma la storia di Entrevaux è una storia più che bimillenaria.

Dai precordi paleo-liguri, all'antica Glanate, alla città medioevale Genovese - della quale restano visibili i classici balconi detti provenzali, le “calade”, vie acciottolate con scale ripide, la devozione a San Giovanni Battista – fino alla “Ville Royale” di Francesco I, Entrevaux è una città che fa sognare ed accende la fantasia.

Ed indubbiamente, qui, su questa rocca pendente su un abisso, si rientra sotto l'incantesimo che ho provato a Piol, Cotignac, Ampus, Mons, Agay, Peine Haute, Roquebrune ed in mille altri luoghi anticamente popolati da quegli uomini particolarissimi amanti del brivido e della vertigine che erano i Liguri. Qui, sotto le perfette architetture di Vauban, si sente ancora presente quella passione per una vita sospesa sul vuoto.

“Quel panoramio”, mi dice Gavin nel suo specialissimo slang che mette insieme inglese, francese, spagnolo, italiano e chissà cos'altro. Il “panoramio”, effettivamente, è letteralmente straordinario.

“Attend-toi un autre belle vue”.

Quale sarà questa nuova bella visione? Cosa preferire fra viuzze, fortini, camminamenti, feritoie, antiche botteghe, fontane, palazzi che la storia ha lasciato in eredità a questa posto?

“Guarda là-bas”.

Guardo laggiù e adesso vedo. Era questa la sorpresa della quale mi aveva parlato all'inizio.

In vista, sulla torre della cattedrale c'è una sola bandiera che sventola sulla questa città posto privilegiato per il turismo e tappa della storia di Francia. É una bandiera recante una croce rossa in campo bianco.

“The Ligurian Pavillon”

Commenti (0) Visualizzazioni: 2632

I Castelli ritrovati

L'immagine più comune per descrivere la vertigine è quella della sospensione nel vuoto.
Alla sola vista del precipizio che si apre giusto qualche centimetro al di sotto dei propri piedi, chiunque prova quel senso di disagio comune a coloro i quali soffrono di vertigini.
È praticamente impossibile resistervi. Oppure no?
La storia risponde che almeno un'Etnia aveva una particolare passione per le dislocazioni sospese nel vuoto: i Genovesi.
Girando per gli avamposti di quello che fu il Dominio Genovese infatti si trovano le antiche vestigia di un sistema di fortificazioni tutte poste al limite dei confini imposti dalla fisica: sull'ultimo lembo di terra, appena prima del vuoto.
Il fatto ha sempre suscitato la mia curiosità fin da ragazzo quando, con mezzi di fortuna, mi arrampicavo fino all'oggigiorno famoso Castello della Pietra. L'estremo avamposto della Repubblica di Genova nell'entroterra verso settentrione. Un forte, sospeso fra due speroni di roccia a dominare la strada.
Quello che non capivo allora e che adesso so è che la casa è un po' lo specchio dell'anima di chi la abita. Allora, questa costruzione orgogliosamente sospesa nel vuoto può essere bene intesa come qualcosa di speciale; la metafora, il romanzo, della maniera di stare al mondo di quelle generazioni che sarebbero per questo diventate famose. Da soli!
In seguito mi è venuto in mente di vedere se in giro per il mondo ci fosse qualche cosa di simile.
Ho trovato una sola costruzione altrettanto memorabile: il Castello inglese di St Cirq Lapopie, anche lui fra due speroni di roccia.

Ma questo non basta certo a pareggiare il conto.
Chi conosca il sistema degli insediamenti militari dell'antica Repubblica sa che la soluzione più diffusa è quella del controllo diretto delle vie di comunicazione intrecciando le leggi della fisica con quelle della strategia militare.
È questo il caso del Castello di Piene-Haute nelle Alpi Marittime. “L'imprendibile”.Un incredibile avamposto millenario sistemato in agguato sull'ultimo sperone di roccia sopra un abisso di 600 metri. Collocato al limite estremo di una minuscola frazione montana di 60 abitanti è stato totalmente dimenticato dal 1815, data della interrotta sovranità della Repubblica di Genova.
Si è salvato recentissimamente dalla totale rovina per l'intervento di una famiglia di “Bénévoles” francesi che, consci del ruolo che il castello riconosceva alla località, ha deciso di acquistarlo e di rimetterlo in sesto. L'impresa è al limite della temerarietà. I proprietari non sono ricchi.
L'edificio è così malandato per il prolungato abbandono che può essere usato solo in estate inoltre, proprio per la sua posizione, può essere raggiunto solo a piedi lungo uno strettissimo sentiero in bilico sul crinale. Ce la faranno? Chissà.
Chi invece ce l'ha fatta è il Castello di Roquebrune; “Le Sublissime”, data la bellezza.A strapiombo sulla città omonima costruita a livello del mare, il Castello monta la guardia. Costruito alla fine del X secolo dal Conte di Ventimiglia è passato alla Repubblica di Genova che vi teneva una guarnigione ed un funzionario amministrativo con carica annuale.
La cosa è interessante perché spiega quale fosse l'elemento guida del sistema pubblico genovese: la leggerezza. Difatti, pur essendo un punto imprescindibile di difesa e controllo economico del territorio, l'organico totale era di soli 8 uomini. Un graduato con competenze militari e civili e 7 arcieri.
Da secoli appartiene ai Grimaldi di Monaco che lo rimaneggiarono più volte fino a che il “maschio” vero e proprio, prima collegato al resto della fortezza munita di sei porte, divenne il castello ed il resto della piazzaforte l'attuale abitato. Del passato repubblicano, fatte salve le scarne indicazione sulla guida, è rimasto poco.

Come al solito per la strana abitudine dei Genovesi a dimenticarsi dei luoghi che li hanno resi celebri.
Dati il fascino e l'importanza di questi manufatti sarebbe opportuno riscoprirli.

Commenti (0) Visualizzazioni: 2847

VERTIGINE!

Vertigine!
Il segreto, il profondo principio che ha messo in relazione le caratteristiche psicologiche dei Genovesi antichi con le loro azioni.

Se si prova a visualizzare la forma di questo principio si scoprono, come già ricordato in altro articolo, le strutture militari della Repubblica di Genova in gran parte sospese nel vuoto.
Poste giusto a qualche centimetro dal precipizio.
Se questo principio si prova a definirlo con precisione si scopre che è un'impresa impossibile. Perché solo una forza che sta nei geni o nell'ambiente può dare origine ad una realtà che è fuori dalla realtà fisica comunemente percepita.

L'effetto dunque è visibile ma il significato più intimo è invisibile.
Del resto, che segreto sarebbe se fosse visibile. Da sempre il segreto è l'equivalente dell'invisibile.
Eppure c'è un momento in cui l'anonimo strumento che ha formato l'inestricabile motivo diventa visibile. C'è un momento in cui dietro l'ombra del mistero si accende una lampada.
È successo con la forma più compiuta di quella misteriosa scelta di vita dei Genovesi antichi: la cittadella di Bonifacio.
Una città alla quale era stata data come compagna la Vertigine, perché le permettesse di svolgere il compito che il destino le aveva imposto: fare da guardiana al territorio della Repubblica di Genova.
Prima di tutto alla Corsica.
Non si poteva prendere la Corsica senza prima prendere Bonifacio.
Non si poteva prendere Genova senza prima prendere la Corsica.

Bonifacio ha tutta la pienezza del genio dei suoi antichi costruttori.
Una intera città-fortezza appoggiata su una base posta cento metri sopra il livello del mare.

Senza dubbio è su questa base che poggia il profondo principio che ha messo in relazione le caratteristiche psicologiche dei Genovesi antichi con le loro azioni.
Stare su in città, sentire le onde frangersi e pensare: è impossibile che io sia qui
Invece è possibile.

Lo hanno ben avvertito i promotori del concorso “ I Monumenti preferiti dai francesi”, i quali hanno candidato alla finalissima la cittadella di Bonifacio. Per loro l'antica misteriosa passione per la Vertigine è stata l'occasione per dare necessità e direzione al futuro di Bonifacio. In modo che questa cittadella diventi una faccenda importante per la comunità internazionale. Non un mero prodotto del turismo.

Senza una teoria che la sostenga e senza una autenticità storica che la riconnetta al presente, una comunità non riesce a fare il suo ingresso nel mondo contemporaneo.

Bonifacio ha dato un segno di quello che potrebbe essere il futuro, non solo turistico, di Genova e della Liguria.

Perché allora per i liguri di oggi è così difficile andare d'accordo con il loro carattere, con la loro anima, con il loro cuore dando la preferenza al perpetuo non curare i loro interessi?

La foto è tratta da http://phoebettmh.blogspot.it/2011/05/france-bonifacio-star-attraction-in.html

Commenti (2) Visualizzazioni: 2775

Commenti recenti

  • Ospite (Peter)

    Caro Berto, se non ho capito male, come la mia, la sua critica mira a dissolvere l'equivoco che porta grande parte dei Liguri odierni ad immaginare la propria storia culturale come quella che hanno direttamente conosciuto attraverso la scuola, le iniziative volontaristiche di divulgazione e quell...
    Mi piace 0
  • Ospite (Berto)

    Lavoro quasi solo per genovesi e non so perché ma cambiano sempre idea. Partono a un modo, arrivano in un altro. Non so se nascono così o lo diventano da grandi.
    Mi piace 0
Visualizza altri commenti

Fer Servadou ed i Paesani del Sud-Ovest

Porta il nome di Fer a causa della durezza del suo legno estremamente difficile da tagliare.
In aggiunta porta con sé la definizione di Servadou che in Occitano, la lingua che gli appartiene, significa “che si conserva bene”.
In queste relazioni percettive c'è tutto il segreto del Fer Servadou, un vitigno antichissimo trasportato agli inizi del Medio Evo dai Paesi Baschi spagnoli nella regione francese dell'Aude: la terra dei Catari.
Forse per queste sue origini eretiche oggi, pur essendo presente in diverse zone vinicole del Sud-Ovest francese, non vi figura con il suo vero titolo ma con quello di altri vitigni prevalenti in quelle singole zone. Con il suo nome e cognome, è un oggetto misterioso, resiste appunto solo nell'Aude dove è diventato un simbolo: quello della rivoluzione paesana.
Rivoluzione contro la globalizzazione dei gusti e dei sapori in agricoltura, certo. Ma in questa regione controversa di insurrezioni, di rivolte e di controrivoluzioni, dove lo spirito di antiche questioni non si è mai sopito del tutto e dove ogni nuovo problema si esprime a partire da una geografia e da una sociologia essenzialmente contadina, la rivoluzione paesana afferma una volta di più l'antagonismo fra l'autonomia e l'indipendenza di chi vive nel suo e del suo ed il progetto burocratico e massificatore del potere politico ed economico: doveri da imporre e privilegi da mantenere. In altri termini il confronto secolare fra chi mette sul piatto della bilancia quello che vale e chi vi contrappone quello può.
Il confronto attuale tende a contrapporre la volontà degli agricoltori a coltivare e vendere secondo il principio della localizzazione - cioè secondo il criterio che ogni prodotto vale tanto quanta è la sua unicità biologica, una unicità che per transito contemporaneamente gli arriva e ricade sul territorio di riferimento - a quella della economia standardizzata e della sua connotazione più indecifrabile: la tipicità.
Un ossimoro; la sintesi impossibile fra il particolare assoluto e la conformità comune a tutti.
In questa polemica il Fer Servadou, ripresentato coerentemente con il suo nome e cognome, è il simbolo forte di una comunanza di modi, di lingua, di costumi, di tradizioni ed ovviamente di produzioni e di mercati.
Al Sud-Ovest della Francia il confronto socio-politico ha sempre per argomento il frutto del lavoro. E la contemporaneità non ha cambiato le cose. Coltivato in purezza il Fer Servadou dona bassa resa e grandissima qualità. In tutto il dipartimento dell'Aude sono soltanto due i vigneti coltivati a Fer Servadou.
Ho chiesto ad uno dei proprietari se, stante la limitatezza delle coltivazioni, non tema che con il progredire del confronto e la inevitabile notorietà internazionale del vitigno l'industria viti-vinicola la spunti degradando il Fer Servadou da simbolo dell'autonomia paesana ad oggetto del consumo di massa.
Mi ha risposto che il Fer Servadou è il simbolo della comunità, spetta quindi alla comunità difenderlo o abbandonarlo. Lui, al massimo, può tenerlo in vita il tempo necessario alla collettività locale per fare la sua scelta. Non di più.

La risposta mi ha rimandato poco distante, al grande altipiano carsico del Larzac; la terra del Regno monastico-militare dei Templari.
Nel Larzac da circa trent'anni gruppi di volontari sono impegnati nel recupero dei paesi-fortezza sui quali era articolato l'impenetrabile Regno dei Templari.
A Sainte Eulalie de Cernon, l'antica capitale (1152-1307), i 200 abitanti si sono tassati per restaurare integralmente la grande cinta muraria e l'edificio della Commanderie.
Uno dei tanti esempi concreti in cui in Francia una comunità storica ha cessato di manifestarsi a livello del ricordo per riproporsi su quello dell'iniziativa.

A partire da questa constatazione credo che la Comunità genovese e ligure dovrebbe cominciare a porsi qualche domanda.

Commenti (0) Visualizzazioni: 2784
-----------------------------
©2024 Associazione Repubblica di GENOVA | privacy policy | realizzazione ilpigiamadelgatto