- Dettagli
- Scritto da Gianfilippo Noceti
- Categoria: A ciassa do paize
Ecco, son tornati i “Giardini”…
Fino ad un certo punto c'è sempre stata "grande attenzione" e Genova era ancora “superbamente Genovese”, bella ed anche di più!
Auguriamoci dunque un improbabile ritorno ma, “a và zà bén coscì”!
Se fá coscì pe dî ma visto che al peggio pare non esservi limite, allora però, tanto per non dimenticare i "cultori del bello", ricordiamoli il Levantese Domenico Viviani, l'Orto Botanico, le Ville e i Giardini di Genova quando i giardinieri erano quei "contadini" che arrivavano dalla Valbisagno, dalla Valpolcevera, dalla Valle Scrivia e dalla Valtrebbia ed erano "Òmmi che quello che ti ghe divi de fâ o savéivan fâ e o faxéivan ben".
E lo facevano da Nervi a Voltri, che addobbavano con piante che nascevano ed erano tenute a dimora nello storico “Orto Botanico di Genova” di più antica nascita ma voluto, fondato e diretto appunto dal levantese Domenico Viviani all'inizio del 1800 e del quale mi pare di non aver sentito più parlare …
Questa è la Genova che ricordo, quella dei Genovesi e di quelle "cose" di una bellezza rara, straordinaria e non solo, posto che sono tuttora "memoria" e, ad esempio, quei bellissimi viali che dalla Stazione Brignole raggiungono "a Fóxe" ed il mare, sono dedicati alle Brigate dei Partigiani che riconquistarono la città al nemico oppressore ma … “se fá cóscì pe dî” …
Una nota sul Bezàgno, Feritor Fluvius degradato a Torrente Bisagno che passa lì sotto! Non si può non ricordare che per “tombarlo”, quando negli anni trenta del secolo scorso si decisero i lavori la sua portata, che secondo dati storici nel 1907 fu individuata in 1200 metri/cubi/al secondo (gli ultimi dati ci parlano addirittura di 1300 mcs), fu sottostimata e degradata a circa 600 mcs . . .
E no, non ci volle molto a capire che quel dato non era corretto se la discesa del “Bargàggin" (ma chi sa più che cos’è…) ha allagato il fondovalle devastandolo già negli anni 1945, 1948 e 1953.
Per non dire poi dei tanti torrentelli e rivi "tombati" con la complicità dell’esagerato elevato urbano che ha coinvolto tutta la Città Metropolitana dalle colline al fondo valle. Ed ecco i tanti eventi catastrofali che dagli anni 70 in poi hanno portato nelle cronache tanti corsi d'acqua minori tra i quali il noto e riottoso Fêuxàn, Felexano, Falesiano, Faresiano, Faregiano.
Anche qui auguriamoci che le nuove opere ne abbiano tenuto conto e che siano state fatte bene almeno come la foto pubblicata da Annamaria Scotto; Genova, contro il degrado.
- Dettagli
- Scritto da Pierluigi Patri
- Categoria: A ciassa do paize
Il 2019 si chiude con l'ennesimo cedimento sulla rete autostradale della Liguria.
E' stato anche istituito un osservatorio tecnico di monitoraggio permanente che si riunirà ogni 10 giorni per controllare che i "controllori" controllino le strutture da controllare.
Appunto, i controlli in italian style?
In uno dei tanti articoli di stampa pubblicati in queste ore sul crollo nella galleria Bertè si può leggere che
Qui c'è una stonatura.
Un privato cittadino può permettersi di chiedere un supporto economico a qualcuno a favore di qualcun altro ma mi pare che analoga richiesta non sia adatta ad un ministro nel contesto delle sue funzioni.
A che titolo un ministro “chiede” un supporto economico ad un’azienda privata a favore di una struttura seppure pubblica?
Per fare un “favore”?
A chi?
Tutto in italian style?!
Buon 2020 !!!
- Dettagli
- Scritto da Peter Beffroy
- Categoria: A ciassa do paize
Ho sempre pensato che attorno alla figura di Balilla ed al momento in cui, il 5 dicembre 1746 scagliando la pietra diede origine alla rivolta antiaustriaca, ci fosse una certa omologazione.
Intendo dire che ogni volta mi sono chiesto perché nel ricostruire il fatto si investe molto sullo standard delle ingiustizie da riparare, sul banale riconoscimento anagrafico del suo artefice e su una esposizione ad uso e riuso della memoria, mentre non si sia mai sentito il bisogno di chiedersi quale era la mentalità del protagonista. Se non altro sarebbe stata una forma di rispetto per il Balilla stesso e per il suo desiderio di riuscita.
Penso che l’evento tragga soprattutto origine nella natura e nella cultura di gente che non si nasconde e non garantisce a nessuno di rinunciare a rimarcare la propria differenza eliminando ogni possibile ammiccamento fra sé stesso e chi viene da fuori. Figuriamoci poi con chi è ostile.
Questa differenza diventa il supporto storico e fors'anche la presenza mitica che trova la sua massima espansione nella vocazione tutta ligure verso la sfida ineguale di uno contro tutti. In apparenza il campo dell’impossibile, eppure attorno a questo tema il mondo ligure ha immaginato il suo simbolo.
Il genius loci. Lo Spirito del posto, l’estensione fantastica di una vocazione che implica il superamento di ogni presente sbarrato che non lascia vedere nessun futuro. Questa è la presenza che ha impugnato lo strumento di una apparentemente impossibile traiettoria, in epoche, contesti o situazioni differenziate.
Ed è ancora una volta il genius loci che presiede al lancio della pietra in cui Balilla, preso dalla ineluttabilità di riportare ad un tempo e ad un momento reale questo modo di percepire il mondo, aveva messo il cuore del ribaltamento e della trasformazione dell’esistente.
Quindi, essendoci una Entità protagonista che abita il Territorio, credo nella possibilità sicura che ci sia sempre un momento in cui da qualche parte un Ligure tocchi il suo destino e lo scardini. Credo anche che questo spirito autoctono non agisca mai a senso unico e rispetti la distanza di provenienza.
Si può andare oltre Balilla, magari con un’altra figura non proveniente dall’ambiente ligure?
Sì. Come per Vincenzo Matteucci.
Se nella storia recente di Genova c’è uno che ha incarnato lo spirito di Balilla, è lui.
Proveniente da altra regione nelle elezioni del 1992 ha affrontato, senza altre assistenze che questa aspirazione al lancio della pietra che contiene il suo cuore nel territorio sconfinato dell’impossibile, due dei maggiori protagonisti dell’establishment italiano e non solo: Guido Carli e Riccardo Garrone.[1]
Battendoli.
La sfida, a prima vista controcorrente, presupponeva dunque la consapevolezza dell’esistenza di un passaggio libero. Reso libero, garantito, da questa presenza che risiede sul posto e funziona come un arsenale per affrontare la consistenza della Storia.
Questo tracciato ad un passo dal 5 dicembre aiuta a riflettere sulla forza di un’identità. In quella ligure c’è qualcosa che viene prima della continuità del quotidiano. Qui la storia non diventa una biografia soddisfacente ma un percorso inedito. Perché il punto non è quello di sintetizzare la propria vicenda nella banalità di un'immagine omologata ma semmai di allontanarsene attraverso il valore individuale della differenza.
Una differenza che ha la capacità di pareggiare il peso negativo dell’impossibilità.
Vivat!
[1] Guido Carli era l'ex Governatore della Banca d'Italia e Riccardo Garrone uno dei più importanti industriali del settore petrolifero.
- Dettagli
- Scritto da Peter Beffroy
- Categoria: A ciassa do paize
Come tutti sanno sono trascorsi 51 giorni dal crollo del viadotto Morandi.
Solo adesso noi ci sentiamo di dire qualcosa al proposito. Non perché non abbiamo un'opinione ma perché la storia del crollo del ponte Morandi è una storia scritta col sangue. Quello dei 43 morti e quello che ancora scorre nelle vene di una Comunità posta di fronte ad una sfida epocale.
Infatti l'entità della tragedia ed i suoi risvolti economici, sociali, politici, hanno richiesto e forse richiedono ancora un'accurata riflessione, una notevole dose di equilibrio perché in ballo c'è la dimensione futura di Genova e della Liguria.
Per questo ci siamo presi del tempo. Il tempo necessario per evitare di cadere nel pessimismo di maniera di chi si appella all'orgoglio municipale mutilato, nella retorica cimiteriale di chi vuole trasformare le vittime in elementi monumentali, nel localismo globalista di chi oppone rigidità a flessibilità, assistenza a progettualità, conservazione ad innovazione.
Dov'era, più o meno com'era. Questa, in estrema sintesi, la linea di azione, il tema centrale, delle diverse “anime” genovesi rimarcate più sopra.
Eppure, al di là dei ritardi nell'avvio delle procedure di intervento che fanno riferimento al Governo e delle conseguenti legittime proteste dei Genovesi, la tragedia del 14 agosto proprio per la sua enorme gravità non può lasciare spazio alla disperazione, all'oscuramento, alla sola semplicità psicologica della pietà.La tragedia è stata violenta ed il peso immane della sua violenza richiede capacità di comprensione nei giusti termini sia di ogni più piccolo fremito della Comunità ferita che della complessità sociale e politica della realtà nella quale gli eventi si calano.
L'obbligo per Genova e per la Liguria non è solo quello di vedersi riconoscere l'umile diritto alla memoria della propria presenza ma di veder riconosciuta la propria forza tramite l'elaborazione del dramma in un passaggio di consegne storico.
Esisteva una Genova, assente a sé stessa, ostaggio del proprio destino che è crollata con il Ponte.
Adesso può esisterne una che vuole tornare padrona del proprio destino attraverso la ricostruzione. Non del solo manufatto Ponte, ma di un'idea complessiva di Città e di Regione che, come quella di Antico Regime, sia proiettata sul futuro.
Un futuro fatto di una corretta pianificazione territoriale delle aree del Polcevera.
Un futuro fatto di un ripensamento degli scambi e delle solidarietà culturali economiche e sociali fra le diverse parti della Città evitando una volta per tutte le assolutezze formali e le ormai anacronistiche geometrie impersonali della Genova "poverista" degli ultimi 40 anni.
" Qui nessuno chiude mai gli occhi " dicevano di se stessi gli Uomini che avevano fatto di Genova la Manhattan del XVI secolo.
Ora è il momento di ritornare, come quegli Uomini, ad essere partecipi e protagonisti della propria storia.
La ricostruzione è una lotta contro la disgregazione della propria identità e per la conquista del respiro lungo del futuro. E se la mancanza di denari nazionale si tradurrà in disattenzione la Liguria possiede un patrimonio tale per fare da sé.
Allora la nostra modesta proposta è quella di riflettere bene e di non separare la ricostruzione del viadotto autostradale da un ripensamento complessivo sull'idea di Città.
Se poi sarà polemica....
- Dettagli
- Scritto da W.S.
- Categoria: A ciassa do paize
Forse ci vorrebbe William Shakespeare per risolvere il dilemma, ma potrebbe bastare il professor Mario Baldassarri che il 03/09/2018 è stato intervistato dalla rubrica “Capire per conoscere”
Nell’intervista -che ritengo valga la pena di ascoltare- ha parlato di vari aspetti economici di particolare attualità tra cui lo spread , il debito pubblico, la flat-tax ed il reddito di cittadinanza esprimendo considerazioni e valutazioni che a me, inesperto di quegli argomenti, sono sembrate logiche e lineari.
In particolare mi hanno impressionato alcuni dati illustrati dal tempo 29’:25”
In un rapido conto il professor Baldassarri calcola che ci vogliano 105 miliardi per le clausole di salvaguardia di IVA ed accise (20 miliardi), per la Flat Tax (60 miliardi), per il reddito di cittadinanza (15 miliardi), per la modifica della legge Fornero (10 miliardi).
105 miliardi sono una cifra devastante, ma ancor più devastante per il contribuente sono le considerazioni successive.
”… dentro la spesa pubblica italiana così com’è ci sono almeno 80 miliardi di sprechi ruberie e malversazioni . E dentro le entrate pubbliche mancano 100 miliardi di evasione …”
Ed a proposito di sprechi, ruberie e malversazioni riferisce che “… gli acquisti di beni e servizi, cioè tutte le forniture della pubblica amministrazione che sono aumentate negli ultimi dieci anni del 179% a fronte di una infrazione del 50% . Quindi in termini reali sono aumentati quasi del 130%.”.
Inoltre “… ogni anno distribuiamo 60 miliardi di fondi perduti in conto corrente e in conto capitale. Dove vanno a finire? Che ci facciamo? In tutti questi anni 60 miliardi all'anno per vent'anni sono 1.200 miliardi cioè più della metà del debito pubblico. Ora, questi sussidi chiamati alle imprese -ma in realtà poi finiscono in mille rivoli- avrebbero dovuto fare un exploit di crescita e occupazione nelle regioni del Sud e nelle aree di crisi del centro nord e non ci sono.”
Per terminare l’elenco dei soldi recuperabili accenna alle tax expenditures, cioè le detrazioni e le deduzioni fiscali, dentro cui “… ci sono altri 35-40 miliardi.”.
Per un totale di “… più di 150 miliardi di euro all'anno di risorse sprecate.” ! ! !
Allora che conclusioni trarre? Le solite, ne abbiamo già scritto.
Per usare un eufemismo si può affermare che la repubblica italiana è "inefficiente" (il professor Baldassarri dice chiaramente: sprechi e ruberie e malversazioni) e toglie al contribuente per dare al “cliente”.
Diciamo che l'Italia appare come l'unico paese in cui il collettivismo reale è al potere e resiste. La Russia ci ha provato ma ha fallito.
Possiamo continuare a foraggiare un sistema così distruttivo di ricchezza (cioè i soldi versati dai contribuenti)?
È giusto sopportare? È conveniente per noi?
Come possiamo pensare di veder approvata la tassa piatta, che già di per sé garantisce la progressività della tassazione, se l’apparato politico e burocratico italiano continua a sprecare soldi.
E i 100 miliardi di evasione di cui parla il professore sono la causa o l’effetto dell’italico marchingegno mangiasoldi?
Allora politicanti e burocrati comincino a porre rimedio a “sprechi, ruberie e malversazioni” e a “fondi perduti in conto corrente e in conto capitale”. Ma pare poco credibile vogliano intraprendere azioni che prosciugherebbero l’acquitrino in cui tanti proliferano e si arricchiscono (di soldi e di consensi).
Genovesi e Liguri cosa ne dite di svegliarvi?!
Oppure continuate a credere e sperare nello stato italiano?
Ricordatevi che chi vive sperando muore ……… !
Alegri !