Qui una raccolta di articoli sul mondo del lavoro nella nostra Terra.
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- Scritto da Pierluigi Patri
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Sì, questo è il rischio!
Martedì 23 u.s. Il Secolo XIX ha pubblicato l'articolo dal sottostante titolo
Al recente Adriatic Sea Summit il dott. Zeno D’Agostino -Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale (cioè Trieste)- ha espresso varie considerazioni, anche sul porto di Genova.
Da tempo le pagine di questo sito ospitano interventi critici sugli utilizzi che gli amministratori genovesi intendono fare sia delle aree dal consolidato utilizzo portuale che dell'area ex-Ilva di Cornigliano.
Utilizzare gli spazi che potrebbero essere liberati dalla servitù siderurgica per sistemarvici containers rappresenta uno spreco di superfici preziose per la loro centralità rispetto agli istituti di ricerca esistenti ed alle vie di comunicazione (aeroporto, ferrovia, autostrade).
Gli interventi cui ho fatto cenno sono stati elaborati da simpatizzanti senza esperienza diretta nel campo dei traffici marittimi ma redatti utilizzando "triangolazioni" sulle informazioni fornite dai mezzi di comunicazione e tenendo presente due parametri:
1- alto rapporto di addetti per unità di superficie
2- attività ad alto ed altissimo valore aggiunto
cioé un utilizzo intensivo che favorisca un diffuso sviluppo culturale, economico, sociale ed ambientale della Città.
É certo che i containers non soddisfano i parametri di cui sopra ma sono a portata di mano e consentono agli Amministratori di mostrare all'opinione pubblica un rapido risultato mentre pianificare insediamenti di ricerca e di produzione hi-tech è lavoro più lungo e meno appariscente.
Ma sarà mica che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi ?
"... ma quando i container non esisteranno più, cadranno tutti dal pero."
Lo ha detto il dott. Zeno D’Agostino. Considerata la sede ed il ruolo ricoperto pare di poter escludere sia stata solamente una battuta provocatoria.
Chissà cosa hanno pensato i genovesi?
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- Scritto da Caparbia Mente
- Categoria: O lòu
...per un’idea tarda.
Sembra passata un’era geologica da quando il Sindaco Bucci parlava di un volo diretto tra Genova e New York (novembre 2019) come segno di un nuovo ruolo della Città proiettata verso un futuro di successo.
Gli era chiaro non fosse una cosa semplice perché un'idea del genere deve essere supportata dalla richiesta del mercato legato non solo al turismo ma, soprattutto, al mondo dell'economia e della conoscenza.
In quella spinta di progresso e di recupero di un prestigioso ruolo per la Città deve essersi inceppato qualcosa se siamo arrivati al punto di proporre l'uso a fini abitativi dell'edificio della Lavanderia italia in Porto.
Ma fosse solo quello potremo pensare ad un inciampo "sulla via del Waterfront di Levante".
Invece no! L'appiattimento progettuale, l'ictus propositivo, trova ulteriore conferma dall'articolo pubblicato su "Il Secolo XIX" di oggi.
In 3° e 4° colonna si legge la dichiarazione di Falteri Davide, consigliere delegato dal sindaco Bucci ai nuovi insediamenti industriali, in cui sostiene che "La richiesta di Csm-Gmt invece è completa [N.d.R. rispetto a quella contemporanea di Cosco] e ben si inserisce nella nostra visione, che non è quella di contrapporre la logistica alla politica industriale siderurgica. ... [per la] crescita di una logistica qualificata.".
Ecco il progresso che viene prospettato a Cornigliano, al Ponente ed ai Genovesi giovani : containers, containers, containers.
Così progettando gli Amministratori locali credono di prospettare ai giovani un futuro appetibile, ricco di riconoscimenti professionali e soddisfazioni economiche? Pensano davvero di incentivarli a restare in questa miseranda città?
In questa landa pare sopravvivano solo individui incapaci di far arrivare agli amministratori il loro dissenso in modo fortissimo e chiarissimo.
Genova Superba? La festa della Bandiera? Questa città di zombi è destinata a diventare un fantasma geografico buono solo per stiparci containers, parcheggiarci TIR e fabbricare latta.
Volo Genova-New York?! Mi scappa da piangere.
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- Scritto da Luigi Tasso
- Categoria: O lòu
Quando si tratta di progettare il futuro di una operazione, sia partendo da una realtà esistente oppure partendo “ex novo” da una nuova situazione, una nuova area, il ruolo dell’innovazione è assai importante e va tenuto in conto.
Intendiamoci sul termine “innovazione”. Esso è simile a “invenzione” e si fa spesso confusione tra le due parole, ma no: sono due cose ben distinte.
Innovare, infatti, è “portare con successo sul mercato un’idea nuova e geniale”. Non è solo “sviluppare un’idea nuova e geniale” (un’invenzione), ma è anche “portarla con successo sul mercato”.
Inventare non basta: per innovare occorre anche che l’invenzione generi profitto.
Per intenderci: Meucci ha inventato il telefono, ma è Bell che si è intestato l’innovazione.
Bengt Järrehult ha dato questa definizione in un articolo di qualche tempo fa. Järrehult notava come in generale il mercato si sia evoluto. Se anni fa si cercava di fornire un prodotto o un servizio che “andasse bene per tutti” (fig. 1), ci si è poi spostati sempre più verso una polarizzazione.
Il prodotto “medio” diventa “mediocre”, e si preferiscono soluzioni più laterali nel campo di quelle esistenti (fig.2): o quelle a buon mercato, che soddisfano giusto lo stretto necessario, o quelle opposte, più costose ma di più alto valore.
Un esempio è nel campo degli elettrodomestici: Mondo Convenienza punta esplicitamente al punto basso della curva, mentre Miele, per esempio, offre soluzioni di alto prezzo, non per tutti, ma di altissime prestazioni.
E il prodotto “medio”? Quello che dovrebbe andar bene per tutti? Quelli che sono un po’ fatti “come li fanno gli altri”? Beh, non hanno più avuto successo e naturalmente scompaiono: non c’è più un posto per loro nella massa di soluzioni tutte che si assomigliano. Il mercato non distingue… e non premia… dove sono finiti Ignis, Rex, Ariston?
Questa è l’area della “commodity war”, della guerra dei numeri (fig. 3), dove il fornitore è costretto ad abbassare i prezzi per vendere.
Ma non basta, perché in questo mondo globalizzato, nel campo delle soluzioni medie/mediocri, ci sarà sempre qualcuno da qualche parte che riuscirà ad essere più a buon mercato con le stesse o simili prestazioni. Chi resta in quest’area è destinato ad essere strangolato dai due lati della curva: da un lato chi ha prezzi e prestazioni minori, ma ancora sufficienti, e dall’altro lato da chi propone il top.
A questo punto possiamo trarre un primo suggerimento per il progetto delle nostre operazioni. Dobbiamo decidere su quale lato della curva delle soluzioni esistenti ci vogliamo posizionare: buon mercato e prestazioni giusto sufficienti, o alto valore e alto prezzo?
Soprattutto, occorre evitare la posizione mediana/mediocre della guerra dei numeri: occorre evitare di fare le cose che hanno già fatto altri, nello stesso modo in cui lo hanno già fatto.
Certo, ogni situazione sul mercato gode di un suo progresso evolutivo, probabilmente in crescita fino alla maturità. Progresso evolutivo, miglioramento naturale che tocca tutta la linea dei prodotti esistenti. Per esempio, in questi ultimi anni, tutti hanno incrementato la loro visibilità e presenza sul mercato attraverso Internet. Non è qui che va ricercata la via per un nuovo progetto. Non basta il progresso.
Ci vuole innovazione.
Nello scenario descritto, per non limitarsi al generico progresso naturale, per sfuggire al rischio della guerra dei numeri, entra in gioco l’innovazione.
Mi ripeto: un’invenzione non è per forza un’innovazione. L’innovazione è infatti “il portare con successo sul mercato un’idea nuova e geniale”. Solo il mercato stabilisce se un’iniziativa è un’innovazione o no.
L’innovazione (fig. 4) sposta il mercato dalla linea delle soluzioni esistenti, e crea delle nuove posizioni ben differenziate.
Un tipo di innovazione può essere il modo per fornire la stessa prestazione a prezzi decisamente inferiori (A in figura), oppure può essere l’introduzione di soluzioni completamente nuove a cui il mercato riconosca un importante valore aggiunto (B), oppure, perché no, entrambe le cose (C).
Si può innovare perché si usano nuove tecnologie (per esempio l’automazione di un processo di produzione), e si parla di ritorni economici di un po’ di punti percentuali, o perché si riesce a piazzare meglio i nostri prodotti sul mercato (“Scavolini, la più amata dagli Italiani”), e qui i ritorni son di decine di punti percentuali, ma è soprattutto nel creare nuove soluzioni e nuovi mercati (“disruptive innovations”: l’introduzione del PC, o del telefono cellulare, o dei vaccini mRNA, ecc.) che crea ritorni economici davvero importanti, anche di centinaia o migliaia di volte l’investimento iniziale.
L’innovazione è dunque elemento strategico per ogni progetto che riguardi il futuro di una realtà esistente o “ex novo”, perché è così che si può avere successo, ricavare utili interessanti e creare posti di lavoro.
Certo, nel mondo reale che si muove l'innovazione oggi non lo sarà più nel futuro: “innovazione continua” è quello che si fa in importanti incubatori di ricerca, dove si lavora su idee originali e non ancora sperimentate, come il nostro IIT o l’istituto Max Planck in Germania o altri ancora. Essi generano uno spin-off di società che sfruttano poi queste innovazioni: società che hanno la loro vita, con entusiasmi e delusioni, crescite, alleanze, sparizioni, e che creano un vivace tessuto di mercato, alla larga dalla guerra dei numeri.
Innovare non è né semplice né immediato.
L’innovazione fatta bene richiede entusiasmo e perseveranza, richiede un ambiente fecondo di collegamenti e scambi culturali tra aziende e università, richiede finanziamenti spesso molto importanti, in parte anche a perdere. É un po’ una scommessa: non tutte le idee sono buone o realizzabili. Anzi. Si parla di 1-2 successi ogni 10 tentativi… Se un progetto non è buono occorre uscirne, ed è veramente difficile capire in quale momento farlo… Ma se il progetto è buono, tipicamente ripaga alla grande di tutti gli insuccessi.
Nell’industria, si ritiene che gli investimenti in ricerca e sviluppo debbano idealmente dividersi 80-90% per il “progresso” e 10-20% per l’”innovazione”.
La soluzione delle istanze interne ed esterne che si incontrano via via ogni giorno è progresso, la ricerca dei limiti di processo e produzione, ed il loro superamento, porta all’innovazione (fig. 5). Secondo B. Järrehult, “per chi pianifica il progresso occorre una mentalità da scacchista, per chi si cimenta con l’innovazione una mentalità da pokerista".
Chi è preposto all’innovazione deve:
1° : scegliere l’equipe giusta: persone che hanno cultura, visione e sanno lavorare in gruppo, condotte da dei Campioni e protette da un Custode ai massimi livelli.
2° : lasciare libere queste persone di focalizzarsi su cose esterne all’ambiente in cui operano, che non sifacciano distrarre dalle noie, magari anche urgenti, del quotidiano.
3° : occorre un ambiente che li ripari da un’eventuale atmosfera ostile, permettendo loro di
• dimenticare quello che ha fatto prosperare realtà madri o realtà simili
• avere a disposizione tutto quello che è necessario, senza preoccuparsi della burocrazia e dei costi organizzativi
• imparare giorno per giorno: il passato non aiuta granché.
Questo gruppo deve fornire un’idea del ritorno economico di quello che sta facendo, ma all’ingrosso: non ha senso chiedere delle previsioni dettagliate.”
Riassumendo: per chi vuole progettare il futuro di un’operazione esistente o creata “ex novo” occorrere scegliere e definire o ridefinire con oculatezza il mercato in cui si vuole stare, e puntare decisamente sull’innovazione.
L’innovazione, anche in senso astratto, può essere business.
Ricordo un vecchio pensiero sempre valido:
Se sei in un business,
o sei il primo della classe,
o ti batti per diventarlo,
o non c’è senso che tu resti lì.
Dunque esci, o ridefinisci il tuo business.
Nota della Redazione : l'Autore è ingegnere elettronico; ha lavorato per 40 anni, in Italia ed Europa, soprattutto nel settore dell’automazione dei processi di fabbricazione della carta.
Non è iscritto all'Associazione.
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- Scritto da Tobia
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Sì, proprio così! Per Genova-città-portuale sarà tutto MEGA: mega produttrice di ricchezza per altri lidi mentre qui rimagono le fregóggie (briciole) ed il traffico.
MEGA-banchina per containers, MEGA-diga per MEGA-navi, MEGA-parcheggio per TIR.
Questa è la "futuristica" programmazione degli amministratori locali e regionali.
Non c'è traccia di idee e prospettive che valorizzino i quartieri fin qui penalizzati.
Gli imprenditori che guadagnano con i traffici marittimi fanno, coerentemente, il loro mestiere molto bene e badano ad incrementarli per aumentare la ricchezza a quasi totale beneficio personale.
Invece gli amministratori pubblici non fanno bene il loro mestiere; si dimostrano incapaci di programmare il futuro per creare un diffuso benessere.
Le dispute tra opposizione e maggioranza sull'andamento demografico sono penose con i primi che sostengono una diminuzione degli abitanti -soprattutto giovani con conseguente aumento percentuale di quelli in età di pensione- ed i secondi che si "agganciano" ai dati dei traffici cellulari per dimostrare che i frequentatori della Città sono in aumento. "Ragionano" solamente sul presente ma nulla che possa influenzare positivamente il futuro, che possa dare prospettive ai giovani.
Le opposizioni, che hanno governato Genova per decenni, sono responsabili dell'attuale degrado complessivo ma anche l'odierna maggioranza, al governo della Città ormai da 6 anni, evidenzia un elettroencefalogramma innovativo perfettamente piatto dimostrato in modo lampante dalle opache, ristrette e povere idee sull'utilizzo delle aree ex-ILVA.
Ad oggi la situazione critica della siderurgia consente di indirizzare diversamente lo sviluppo futuro del Ponente, di Genova e del Genovesato con prevedibili ripercussioni anche nell'Oltregiogo.
Le giunte in carica intendono marchiarsi di inerzia, di inettitudine, di pochezza dedicando le loro attenzioni ad attività che renderanno la Città ancora più serva delle aree dove viene costruita la ricchezza?
Ce ne sono costretti da qualcosa? Lo dicano! Forse, ma proprio forse, potremmo assolverli.
Altrimenti si diano una mossa! Diventino lo spartiacque iniziando dal Ponente!
Puntino alla svolta rivoluzionaria per dare inizio ad un nuovo modello di sviluppo in cui il sapere sia protagonista.
Amministratori: volete una genova meschinetta o Genova Superba?
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- Scritto da Peter Beffroy
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L’estate scorsa, al Festival dell’Economia di Trento, Genova veniva presentata come al quintultimo posto nella classifica della “Qualità della vita per i giovani”. Una proiezione negativa rispetto al 2021 quando, nella stessa classifica, era in 88ª posizione. Ma nel giugno scorso la questione era più intricata dato che peggio di Genova figurava solo Taranto.
Guarda caso l’altra città contrassegnata esponenzialmente dall’insistenza dell’industria siderurgica.
A questo dato si sommano due elementi.
Il PUMS 1 di Genova, in fatto di previsioni demografiche, nei prossimi venti anni stima una perdita di 100.000 abitanti nella regione ed un invecchiamento generale che porterà ad avere meno del 30% della popolazione inferiore a 35 anni mentre gli over 65 saliranno di 50.000 unità rispetto ad oggi
In Europa solo le Asturie faranno peggio.
Inoltre se si prende il parametro Smart, relativo ai progetti ed all’applicazione dell’innovazione, Genova è spesso fra le prime città quando si tratta di parlare della lingua degli smartness per poi regolarmente collocarsi agli ultimi posti quando si tratta di verificare le iniziative attuate. Al pari di Napoli, appena sopra Palermo, Bari e Reggio Calabria. Sarebbe bello poter dire che si è in compagnia del Sud che vince ma, all’opposto, questo dato purtroppo ancora si legge come il Sud che perde.
In cima alla classifica ci sono Torino, Bologna, Milano e poi Roma, Firenze e Venezia seguite da altri centri più abili del capoluogo ligure.2
Messa in questi termini la storia fra i giovani e Genova sembra chiusa per sempre, eppure non è così.
Non fraintendiamo. La Città non è in grado - per l’insipienza del suo gruppo dirigente, monopolista, conservatore e pure poco attento al mondo circostante - di risolvere la querelle ma i giovani possono risolversela da soli. Basta che facciano ciò che le politiche europee gli consentono ed adoperino gli strumenti che le stesse gli mettono a disposizione.
Da più parti si sente dire che i giovani sono lasciati soli, che non ci sono sufficienti risorse a loro disposizione, che non avranno una pensione di anzianità, insomma che dovranno accontentarsi di quel poco che passa il convento.
Non è vero. Mai come nel momento a noi contemporaneo ci sono state tante risorse economiche a disposizione di chi ha meno di 35 anni. Quelli che dicono il contrario lo affermano o per ignoranza o per interesse di categoria.
È chiaro che se le risorse vanno ai giovani queste non saranno più disponibili per sostenere le politiche dello spreco pubblico, delle grandi opere mai finite, degli incroci fra economia e politica.
Ma i fondi ci sono. Allora i giovani devono chiederli e fare i passi necessari per ottenerli.
Non troveranno corrispondenza negli Enti pubblici, i quali già perdono i finanziamenti loro spettanti e quindi come potrebbero essere in grado di occuparsi di quelli altrui? Non la troveranno neppure nelle associazioni di categoria organizzate secondo criteri ormai polverosi.
Dovranno fare da soli. Cercando aiuto laddove questo è possibile compiendo le quattro azioni che la loro età e la loro energia consentono: ricercare, monitorare, analizzare e produrre contenuti.
Il resto verrà da solo.
1 Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile.
2 Fonte, Progetto GAP, Governance Analysis Project, Distribuzione iniziative Smart fra le principali città italiane.