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- Scritto da Pierluigi Patri
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Nell’edizione serale del TG Regionale di Rai3 mandata in onda mercoledì 31 u.s. è stato trasmesso:
- un servizio sui recenti disastri provocati in Liguria dal mare e dal vento
- un servizio sul lento andamento dell’approvazione alla Camera del così detto decreto Genova
- un servizio sull’assemblea di Confitarma -Confederazione Italiana Armatori- tenuto a Roma pochi giorni fa.
Per ottenere dal Governo italiano i soldi necessari ad un parziale ripristino di quanto distrutto o danneggiato la Regione chiederà il riconoscimento dello stato di calamità naturale.
Per rimediare ai danni diretti ed indiretti causati dal crollo del ponte Morandi sul Polcevera stiamo aspettando tutte le lungaggini burocratiche per veder “dispensare” i soldi tenuti nelle casse centrali.
All’apertura dell'assemblea annuale della Confederazione Italiana degli Armatori il presidente Mario Mattioli ha espresso la disponibilità di quell’associazione nei confronti della Città e del Porto di Genova.
Nei primi due contesti dobbiamo aspettare le benevoli attenzioni delle istituzioni centrali.
Nel terzo ci è riconosciuto un ruolo leader da chi, peraltro, trova nelle strutture portuali e logistiche della Città uno snodo di grandissima importanza che lo rende sostanzialmente indispensabile per i commerci marittimi.
Come descritto nell’articolo “Tasse versate la Liguria è la terza regione italiana” (Il Secolo XIX di domenica 9 dicembre 2007) il gettito prodotto dalla nostra Terra allora ammontava a 3.369.194.071 di euro.
L’Associazione Repubblica di Genova sostiene da almeno 20 anni l’idea che qui debba rimanere una cospicua parte di quel gettito. Se così fosse stato ora non avremmo da chiedere soldi allo Stato italiano.
Pensate a quanti soldi avremmo potuto impiegare per tutte le necessità logistiche, e non solo, del nostro Territorio.
La nostra situazione sarebbe ancora più favorevole se godessimo dello Statuto speciale come le Regioni autonome.
Ma siccome nella Repubblica italiana siamo tutti uguali ma c'è qualcuno più uguale degli altri vien da pensare che in una ipotesi di futuribile ripristino della sovranità della nostra Terra riusciremmo a raggiungere una condizione di diffuso benessere come nella Confederazione Elvetica.
Ci domandiamo come queste elementari idee non siano state colte dai genovesi.
Ignoranza dei dati e delle prospettive? Paura di assumere grandi responsabilità di intrapresa e gestione? Servilismo, acquiescenza, intorpidimento, miope tornaconto privato?
Forse tutte le cose. Fatto sta che a fronte di non molti (per ora) Genovesi e Liguri con la voglia di scommettere su se stessi per un futuro migliore e più ricco c’è uno stuolo di genovesi e liguri proni a far da zerbino agli altri.
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- Scritto da full speed ahead!
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Questa è un’italica perla concettuale : obbligo flessibile !
Il gioioso concetto è stato espresso dall’attuale ministro della salute in riferimento alle vaccinazioni.
Mi chiedo come faccia un ministro a concepire una cosa del genere (ma è davvero un concetto oppure è una raffigurazione amebica che lascia ampio spazio ad interpretazioni personali e a valutazioni ancora più soggettive ed incerte ?).
Pare logico ritenere che un governo sia la guida di uno Stato e debba -pertanto- fornire indicazioni e norme precise, un po’ come l’autista che guida un pullman fermadosi agli stop ed utilizzando gli indicatori di direzione quando si sposta.
Rimarreste su un pullman il cui conducente rispettasse il codice stradale in modo “flessibile”?
Oppure ne scendereste appena possibile?
L’impressione che "l’obbligo flessibile" sia un’dea ben radicata nella ministra è confortata da una sua ulteriore precisazione : « … l’idea di un obbligo flessibile a seconda dei territori è l’idea più sensata».
Sensata ?! Beh, se lo dice un ministro della repubblica italiana …
Essendo un ministro di quella repubblica c’è da ritenere che i territori a cui fa riferimento non siano extra-continentali ma quelli peninsulari quindi con distanze sostanzialmente limitate.
Allora se sarà prevista una flessibilità territoriale cosa potrebbe succedere ad un bambino (dato che la classe di età interessata della diatriba è quella) che abita a Vallo della Lucania se andasse con i genitori in vacanza a Bassano del Grappa.
E, per converso, se una famiglia di Sondrio decidesse di andare al mare a Marina di Caronia?
Già nel 2015 erano state pubblicate alcune considerazioni su rigore assoluto e rigida severità.
Cambiano i governi ma l’italianità resta la stessa, d’altra parte il problema ha origini lontane.
Liguri e Genovesi osservate in che condominio stiamo vivendo.
Cosa ne pensate? Va bene così?
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- Scritto da A. Caronte
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"Il governo dei flussi migratori è di sinistra perché aumenta la sicurezza e riduce la paura".
Mi pare un’affermazione che poggi sulla sabbia.
Primo : se ne deduce che sia di destra non governarli.
Invero l’impressione è che tanto i governi di sinistra che quelli di destra abbiano fatto pochissimo (o niente ?) per governare quei flussi.
Secondo : governare i flussi migratori è solamente e semplicemente questione di buon senso, che talvolta pare non albergare nelle decisioni politiche.
Forse il proposito di governare, o tentare di governare, i flussi non dipende dalla propensioni caratteriali di un ministro ma scaturisce dalle decisioni della compagine governativa verosimilmente per nuovi equilibri nei partiti che la compongono.
Potrebbe anche avere la sua parte l’umore dell’opinione pubblica che manifesta con sempre più evidenza l’insoddisfazione verso la politica immigratoria attuata sino ad ora.
Comunque affermare che governare i flussi migratori sia di sinistra non fa ipotizzare un “trucco” lessicale per far digerire agli xenofili quella iniziativa ?
Se il governo dei flussi è stato sino ad ora ispirato a lassità e ricerca di consenso rimando i nostri lettori alla lettura di quanto scrisse Platone * più di 2000 anni fa
* il testo riportato nel link è ritenuto trattarsi di una libera traduzione di Indro Montanelli
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- Scritto da Pierluigi Patri
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Invece Francesi, Svizzeri, Pontifici, Liechtensteiner (non so se scritto così sia corretto, ad ogni buon conto intendo i cittadini del Liechtenstein) sono scemi.
Almeno è questa l’idea che mi sono fatto leggendo i servizi pubblicati online da Il Fatto Quotidiano e da La Repubblica circa la relazione annuale illustrata dal Dr. Boeri Michele Tito, presidente dell’INPS, al Parlamento italiano.
Tra le altre cose il bocconiano -bocconiano come Monti Mario- “ … ha insistito in particolare sui 38 miliardi che la chiusura delle frontiere agli immigrati potrebbe costare all’Italia.”
Sono “Cifre che emergono da una simulazione fino al 2040, dalla quale emerge che avremmo 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate ai cittadini extracomunitari “ cioè l’equivalente di “una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo“.
Orbene se le cose stanno così, e come si potrebbe dubitarne dato il suo cursus studiorum, mi domando il motivo di tanta miopia del governo francese che ha dichiarato di voler respingere le navi cariche di migratori eventualmente respinte dai porti della penisola italiana : forse i Francesi non si rendono conto a quanto rinunciano.
E gli Svizzeri ? Va bene che la Confederazione è un forziere ma 38 miliardi non sono noccioline.
Anche i Pontifici potrebbero raggranellare un po’ di soldi, di certo molto meno di 38 miliardi perché lo Stato del Vaticano è piccolo e di ospiti ce ne starebbero pochini. Comunque l’utilizzo della risorsa migratoria -seppure numericamente limitata- sarebbe meglio del niente.
Stesso ragionamento per il Liechtenstein; anche quello è uno Stato territorialmente piccolo ma un po’ di soldi fanno sempre comodo.
Allora mi domando perché siano così stolti da rinunciare alla ricchezza di cui ha parlato il presidente dell’INPS : basterebbe loro tendere la mano.
Però, constato il loro atteggiamento, comincia a venirmi un sospetto.
Sarà mica che le cose non stanno come ci ha raccontato il Dr. Boeri Michele Tito ?
Intanto a Tallin hanno deciso "No ad apertura altri porti Ue".
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- Scritto da Luiggi Pariggi
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Il 25 giugno ci sarà il verdetto definitivo. Lì sapremo chi avrà vinto il ballottaggio per la carica di Sindaco di Genova.
Una cosa però è certa fin da adesso: la Maggioranza sono gli Altri. Quelli che si sono astenuti dall'andare al voto al primo turno.
Difatti a Genova si è registrato il dato massimo nazionale di astensione, con il 50,87%. In nessuna altra parte d'Italia si è raggiunto un livello simile. Da qui il principio fondamentale: a Genova, la Maggioranza sono gli Altri.
A questo punto a poco valgono le argomentazioni di coloro i quali considerano gli astenuti come perdenti o passivamente accettanti il verdetto delle elezioni. In un sistema a tradizione universalistica come quello italiano, cioè dove il voto è tanto più valido quanto più è partecipato, gli astenuti possono essere considerati come perdenti solo quando sono una residua minoranza. Al massimo quando sono una minoranza assai relativa. Non di certo quando sono la maggioranza assoluta.
Del resto è lo stesso sistema elettorale che stabilisce il “quorum” nel 50% più 1 degli elettori.
Naturalmente essendo in Italia, paese dai mille risvolti e dalle mille interpretazioni, questo principio del “quorum” è ritenuto applicabile solo per le elezioni nei Comuni aventi una sola lista di candidati. Dove il quorum è addirittura doppio. Oltre a vedere la partecipazione di oltre il 50% dei votanti, l'aspirante sindaco deve prendere più del 50% dei voti.
Paradossalmente un candidato di lista unica che facesse il pieno di quel 50% di elettori recatosi ai seggi, non sarebbe eletto. Lo sarebbe invece quel sindaco che prendesse il 5% dei voti calcolato sulla esigua minoranza degli aventi diritto al voto, purché in presenza di più liste.*
Di per sé un ben strano principio democratico, perché subordina l'esercizio del diritto di voto e di scelta politica dei cittadini alla effettiva capacità dei partiti di rappresentarli. I quali partiti invece, naturalmente nell'interesse esclusivo del cittadino, molto democraticamente fanno il pienone dei posti disponibili nelle assemblee anche quando il loro consenso complessivo è minoritario rispetto al totale degli elettori.
In tale curioso contrasto sarebbe davvero il caso che il sistema politico-partitico avesse la cortesia di adeguare la norma sulla rappresentanza assembleare al principio universalistico al quale sovente dice di richiamarsi.
È eletto Sindaco il candidato vincente secondo le modalità previste da ogni singolo caso ma il Consiglio comunale assegna percentualmente tanti seggi quanti sono i votanti.
Metà votanti, metà consiglieri comunali.
E se, come a Genova, i votanti sono meno della metà?
Il Sindaco è politicamente delegittimato.
Comunque, a salvarlo, non basta un elenco di concorrenti sconfitti più di lui.
Del resto una Giunta come potrebbe varare iniziative sociali-economiche-fiscali se rappresenta la minoranza della popolazione mentre la Maggioranza sono gli Altri?
Dice: e allora?
Allora niente. In un paese come l'Italia dove la democrazia è un argomento dalla mille declinazioni, naturalmente tutte a favore del soggetto in quel momento sottoscrittore, anche la discussione sul tema della democrazia partecipata resterà in soffitta.
Per adesso. Perché a questo punto le possibilità sono tre.
O si va avanti ugualmente, anche in presenza di successivi cali della partecipazione elettorale.
O si cerca di migliorare l'offerta politica adeguandola alle necessità reali della maggioranza dei cittadini.
Diversamente? Diversamente, gli astenuti, non trovando un partito di loro corrispondenza fra quelli attualmente in attività, decideranno di farsene un altro.
* Il tema è assai discusso fra i giuristi, fino ad ora prevalendo l'ipotesi di ritenere valide le consultazioni in assenza di quorum purché con la presenza salvifica di più liste. Ciò onde evitare il rischio di non far svolgere più alcuna consultazione stante la grande astensione ormai prossima ovunque al 50%.
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